IL FILOSOFO: SÌ, IL BOSCO FA PAURA MA CONOSCERE IL RISCHIO CI SPINGE AVANTI NEL MONDO
l male ha molte forme. Ultimamente, e non serve richiamare le cronache, gli abbiamo attribuito quella di un’orsa pericolosa: del tutto incredibilmente, come se non ci fossero mai stati anni di filosofia che ci hanno spiegato che gli animali esistono al di là del bene e del male, abbiamo addirittura cercato vendetta e giustizia. Di animali pericolosi si scrive e narra in continuazione, e d’altronde i dipinti rupestri parlavano già di questo … rappresentare l’animale come altro da noi, proteggersi nella caverna per non esserne catturati, imparare la caccia per combatterli, mangiarli, infine, come è capitato centinaia di anni più tardi: dominarli.
Ci spaventano i lupi, ma anche il Rottweiler dell’amico al parchetto sotto casa, e poi ci sono gli insetti, i serpenti, i leoni … ogni forma di perturbante, nella storia della cultura umana, prende la forma dell’animale. D’altronde il confine tra animale e mostruosità è sottile, riposa in questa intercapedine: l’umano che sfuma verso l’animale, l’animale che non è più riconducibile all’umano, qui alberga il pericolo. La relazione è sonora, con i versi che non sono parole. Non che non esista pericolo reale, ovviamente, però il relativo è dietro l’angolo: abbiamo i gatti in casa, potrebbero ucciderci con due zampate (e succede più spesso di quanto pensiamo), ma mai metteremmo una tarantola in soggiorno che probabilmente ci ignorerebbe serenamente. Come ha giustamente sostenuto in varie sedi Michel Foucault, il pericolo è una relazione che il potere intrattiene con coloro che deve dominare: senza percezione del pericolo non c’è nessuna possibilità di sorveglianza, dunque neanche di punizione … “hic sunt dracones”.
I bambini molto piccoli non temono nulla, certo anche perché hanno meno consapevolezza: eppure mia figlia ha imparato a “schifarsi” dagli insetti improvvisamente, di
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certo non da me, probabilmente ereditando il pericolo da qualche bambino a scuola che a sua volta lo avrà ereditato dai parenti. Senza un mondo animale da temere sarebbe impossibile la basilare triangolazione “sapere, potere e verità”: ciò che umano protegge e salva, ciò che vi si allontana distrugge e terrorizza … ciò che sta nel mezzo, gli “anormali”, sono da temere per definizione. L’umano, quando diviene bestia, eccone il pericolo appunto.
“Animali pericolosi” potrebbe essere il titolo di un libro che racconta come al variare del tempo e dello spazio, dunque delle culture, la lista degli animali proibiti sia cambiata (così come quella degli animali da proteggere o rispettare). Questa è una lista di potere appunto, un regime di verità che non è mai solo un’ideologia o un’entità astratta (“lo specismo”), ma una specifica articolazione di corpi, saperi e, appunto, poteri. Lo spiega bene Paul Preciado nella sua Dysphoria Mundi (Fandango 2023): «Un regime di verità è una forma di vita. Una modalità di estrazione, consumo e distribuzione dell’energia. Un corpo o più corpi sovrani. Contrapposti a un insieme di corpi subalterni. Una certa riproduzione della vita. Una certa visione dell’organizzazione sociale. Non c’è regime di verità che non sia insieme anche un regime somatopolitico». In questo quadro, la possibilità di diffondere sensazioni alternate di pericolo e vendetta contro gli animali è centrale: la società umana è sicura, il bosco degli animali è pericoloso … ci sono gli orsi, e gli orsi vi uccideranno. Orsi che diventano simboli proprio perché, rifiutandosi di sottomettersi alla Legge umana che li vuole docili, innocui e visibili solo per farsi fotografare, mettono in questione la legittimità di questa stessa Legge e l’immane violenza con cui essa si impone sul resto della esistenza.
Ma cosa significa pericolo? La parola come sempre è latina, significa “procedimento giudiziario”. Dunque il pericolo non compete la natura, e non ha niente a che fare con gli animali: il pericolo, per definizione, è degli umani e delle loro leggi che spesso poco, pochissimo, hanno a che spartire con la morale o con le strutture della natura. Pericolosi sono gli umani, in natura al massimo c’è il rischio: che poi è ciò che davvero vogliamo rimuovere dalle nostre esistenze. Perché? Perché il rischio è parente della conoscenza e della libertà, mentre il pericolo è figlio della carcerazione e della stasi. Si rischia di andare nel bosco, perché il bosco è sia conoscenza che terrore: così procede l’esistenza, così si esce dalle caverne dipinte di animali immaginari e si iniziano a osservare gli animali reali. Eva ha ascoltato un serpente (pericoloso), ha rischiato: la caduta è poi anche l’inizio del percorso di conoscenza che conduce alla salvezza … alla libertà.
La trasformazione di un regime di verità non ha niente a che fare con il pericolo, ma con il rischio: porta alla comparsa di nuovi soggetti del sapere, laddove quello che prima era vero viene ora giudicato falso o viceversa. Spazziamo il campo da ogni ambiguità dunque: non esistono animali pericolosi, ma ovviamente rischiosi si: ogni avvicinamento all’altrove è contemporaneamente conoscenza e terrore. La lista degli animali proibiti è una cultura semiotica, una cultura che produce nuove prassi di soggettivazione ed è qui che il rivolgimento oggi in atto si rivela in tutta la sua portata. Assistiamo non solo a un’insurrezione dei soggetti assoggettati, orsi rivoluzionari in fuga per la libertà, ma a un più generale sovvertimento del rapporto tra sapere dominante (umani proteggono/natura uccide) e sapere subordinato (la meraviglia del rischio della conoscenza dell’altrove). La storia di falsificazione dei presunti animali pericolosi, che può iniziare con il coraggio del tentare di accarezzare un cane assumendosi il rischio (necessario!) di un morso, è anche la storia di un rapporto che nel rinnovato quadro epistemico dell’ecologia contemporanea cessa di essere verticale. Come possiamo davvero cercare vendetta davanti a un’orsa? Cosa pretendiamo di fare: ripotare a nostre categorie legislative la potenza dell’impotenza di una natura ancora per noi così poco comprensibile? Chissà se un giorno potremo di nuovo passeggiare insieme in un bosco capendo che il rischio è ovunque ed è proprio ciò che dà il ritmo a quella libertà che così tanto inseguiamo. La stessa libertà che insegue un’orsa, e che spesso si traduce nel conflitto improvviso con ciò che non ci sappiamo spiegare.
Il bosco è dappertutto, così dunque il rischio. Il pericolo risiede solo nelle nostre astruse idee di giustizia. Cos’è un orso pericoloso, unendo i pezzetti di quanto detto fin qui? Un latitante, che spera di non essere inutilmente umanizzato, e che non vuole morire per burocrazia.