«NOTTI INSONNI, DIGIUNI, QUELLA CASA SEMPRE PIENA CON MARCO PER 42 ANNI»
Compagna storica del leader radicale Pannella, Mirella Parachini, ginecologa, aveva 19 anni quando lo conobbe, lui 44: «Per me era uno choc quando smetteva di mangiare e di bere, comprendevo ma non mi abituavo. Era il mio grande ombrello protettivo»
inconfondibile capigliatura bianca incurvata verso un sorridente Luca Coscioni. Un unico scatto ritrae due simboli di una politica cucita su diritti ineluttabili eppure dibattuti. Una sola postura intellettiva, quella di Marco Pannella e del suo compagno di partito che, a dispetto della sclerosi laterale amiotrofica, marciò spedito verso solidarietà e affermazione di sé.
Laquilino spicca nella sala universitaria del penitenziario di Rebibbia, difficile da rimpiazzare in epoche attraversate da populismo giudiziario. Pannella, morto nel maggio 2016, è stato recentemente evocato nel ricordo che Paolo Franchi ha pubblicato sul presidente emerito Giorgio Napolitano, celebrato per «la sua attenzione al tema del carcere e dei carcerati, che lo avvicinò più di quanto si creda a un uomo politico che per tanti anni aveva cordialmente detestato, Marco Pannella». Odiato e amato, dunque, il leader dei radicali italiani. Quella di Mirella Parachini è una testimonianza diretta, affettuosa, partigiana, ricca di memorie inesplorate e aneddoti importanti. Pacifismo e parti epidurali. Tenerezza e scoperte. Digiuni e sentimento. Si può cominciare da nonna Hélène? «Ero affascinata da mia nonna e dal modo in cui spiegava il senso di certe battaglie per un mondo migliore. Vale la pena raccontare la magica coincidenza che si verificò nel ‘79 dopo che Marco fu eletto deputato al Parlamento europeo. Parlavamo al telefono di Bruxelles e di dove aveva trovato un appartamento in affitto e lui esclamò: “cosa ne sai tu?”. Risposi citando il nome della via in cui nonna Hélène abitava. Mi disse: “è dove ho trovato casa”. Li feci conoscere». Si parla della nonna e spunta il leader radicale quasi per associazione di idee: «Marco era la mia famiglia, il grande ombrello di protezione sotto il quale mi sono rifugiata per anni» spiegherà lei, con lessico intimo, nel corso della conversazione.
C’è tuttavia un prologo dal quale Pan
nella è assente ed è l’età della formazione di Parachini, della lenta assimilazione dei grandi temi delle campagne civili non necessariamente radicali ma globali diremmo oggi. Il medico esperto nella faticosa applicazione della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza fu, inizialmente, una furibonda sostenitrice dell’obiezione di coscienza antimilitarista. «Appena sbarcata al Partito radicale non sapevo cosa volesse dire la parola aborto» confida. «Non era una cosa di cui si parlasse (la legge è del 1978 ed è uno spartiacque, ndr)». Al contrario da adolescente curiosa presidiava, assieme al fratello Rolando manifestazioni e iniziative dei radicali contro la guerra. L’onda lunga della contestazione contro il Vietnam era approdata al centro di Roma e per merito di pochi andava diffondendosi, sprovincializzando l’Italia dopo aver conquistato il mondo con le sue Woodstock e le marce pacifiste: «Noi avevamo Roberto Cicciomessere che si era fatto arrestare per le sue idee a favore di pace e disarmo. Aspettavamo la parata del 2 giugno per lanciare il nostro appello antimilitarista e venivamo puntualmente identificati dalle forze dell’ordine. Ci venne l’intuizione di sfruttare il giubileo che quegli anni si andava preparando per sfilare in abiti da carcerati chiedendo la liberazione degli obiettori di coscienza arrestati...» Tra chi urlava gli ideali pacifisti c’erano intellettuali di professione: «Nel ‘73 organizzammo la marcia antimilitarista Trieste - Aviano, davanti alla base Nato. Fu lunga. Con noi c’era un giovane Dario Fo che improvvisava spettacoli ad ogni pausa del corteo. I sindaci ci mettevano a disposizione le palestre e noi le occupavamo con i nostri sacchi a pelo per dormire». Mirella, intanto, cresceva: «All’epoca avevo fatto la conoscenza di un antiquario francese, Jean Yves, che mi parlava di un giornalista che a Parigi aveva fatto parlare di sé. Era Marco Pannella. Mi avvicinai a lui come a un intermediario che mi avrebbe aperto le porte del mondo di Yves». E il 5 marzo 1974 anche lei, come Cicciomessere, Adele Faccio, Emma Bonino e altri ancora varcò la porta di casa Pannella, un appartamento in via della Panetteria, dietro Fontana di Trevi. Lei aveva diciannove anni. Lui quarantaquattro. Venticinque anni di differenza che hanno pesato solo una
«A UN CERTO PUNTO ME NE ANDAI, ERO ESAUSTA, PRESI UNA CASA IN VIA GIULIA. LA PRIMA NOTTE LUI VENNE A DORMIRE DA ME. L’HO DETTO, ERA LA MIA FAMIGLIA»
volta e all’incontrario confida Parachini: «Nel ‘96 venni via dalla casa di via della Panetteria. Ero esausta. I ritmi di Marco mi avevano messo alla prova. Rientravo dall’ospedale dove lavoravo e lo trovavo con altri compagni in pieno fermento creativo tra comunicati da diffondere e fax da inviare. E il mio bisogno di riposare? Presi una casa in via Giulia: la prima notte lui venne a dormire da me. L’ho detto: era la mia famiglia». Il ‘74 dunque. Pannella, già giornalista a Parigi, era rientrato a Roma per dedicarsi alla militanza: «Quando lo conobbi mi si aprì il mondo. Come quando fui incaricata di chiedere a Jean-Paul Sartre un contributo e a Simone De Beauvoir un articolo da pubblicare per il numero zero del nuovo quotidiano radicale Liberazione. Allo stesso modo potevo trovarmi a cenare con Sciascia. Restavo rigorosamente in silenzio ma ascoltavo e ascoltavo. Nel ’79 Marco gli propose una candidatura, lui chiese:”Quanto tempo ho per riflettere ? E dopo aver fumato una sigaretta rispose:”Sei venuto perché sapevi che la porta era aperta». Parachini, intanto, faceva le sue scelte. Assistette quasi per caso al suo primo parto con epidurale («Una esperienza bellissima») e ne uscì con convinzioni granitiche: «Mi dissi: è quello che voglio fare». Poi, la vita è piena di compromessi e a Parachini toccherà occuparsi essenzialmente dell’applicazione della legge sulla interruzione volontaria di gravidanza presso uno degli avamposti di maggiore efficienza a Roma, il San Filippo Neri, lasciato qualche anno fa con la pensione. «Prima però vi furono gli anni della pratica all’ospedale di Terracina. Inizialmente, in realtà, ero al consultorio. Poi entrai. Voglio solo dire che quando si sono voluti implementare i servizi a favore della donna è stato. Mi pesa il piagnisteo di molte colleghe sulla mancata applicazione di questa legge così importante. C’è quasi un pregiudizio al contrario. Ricordo un’intervista per una televisione straniera nella quale fui censurata
per non aver descritto un’Italia simile alla Polonia...» Oggi l’associazione Coscioni prosegue la battaglia a sostegno di donne che hanno avuto una diagnosi prenatale infelice e che dunque vorrebbero abortire oltre i termini previsti dalla legge (tra le altre cose hanno lanciato la piattaforma Freedom leaks attraverso la quale è possibile segnalare in forma anonima la propria esperienza) in caso di malformazioni fetali.
IL CORPO DEL LEADER
Parachini è quella che si definirebbe con termine generico una donna «impegnata», in grado di comprendere una totalizzante dedizione agli ideali. Eppure la fisicità, quasi corporeità della militanza politica di Marco Pannella è stata, a suo dire, compagnia intollerabile. Ci sono modi differenti di utilizzare il proprio corpo in politica. Pannella fu leader generoso nella affermazione dei principi della non violenza e attorno a sé organizzò metodi di lotta estremi e rivoluzionari. Parachini soffriva molto di tutto ciò: «Non avevo margine di trattativa» dice. «Lui era pienamente consapevole di mettere a rischio la propria vita. Io comprendevo però non mi abituavo. Ricordo lo sciopero della fame per aumentare le risorse da destinare ai Paesi dell’Africa piegati dalla fame. Una battaglia che, lentamente, lo avvicinò a Papa Woityla. Per quanto mi riguarda era uno choc. Ricordo che tutto si fermava all’improvviso. Avevo i miei impegni ma smettevo di fare quelle piccole cose che, per quanto ininfluenti, mi parevano inappropriate. Perfino andare in palestra sembrava inopportuno». Nel 1985 il mondo tacque per assistere al Live Aid di Usa for Africa la più grande raccolta di fondi a memoria di fans. Due palchi, uno statunitense e l’altro europeo (il celebre Wembley stadium di Londra) proiettarono immagini di Bod Dylan come di Freddie Mercury, di Michael Jackson, Ray Charles, Paul Mc Cartney, Stevie Wonder, Andy Bono più altre star universali. La solidarietà era rock. Pannella anticipò prima e cavalcò poi questa onda di partecipazione. Nessuno, neppure i suoi medici erano in grado di prevedere quanto avrebbe potuto resistere. In particolare lo sciopero della sete faceva balenare lo spettro di severe complicazioni renali. Parachini sopportava faticosamente: «Quegli scioperi mi hanno toccata anche dal punto di vista medico, assistevo come altri, alcuni dei quali luminari come Alessandro Beretta Anguissola o come Claudio Santini, a quella iniziativa estrema. Venne il momento, negli ultimi anni, in cui Marco evitò di dirmelo. Scioperava e non lo sapevo». Una relazione resistente e delicata assieme quella tra Marco e Mirella: «Non c’è mai stato un patto matrimoniale preliminare» svela «non eravamo una coppia tipica. Marco ripeteva che il matrimonio fra due persone sarebbe dovuto avvenire alla fine di un percorso assieme anziché all’inizio. Credo avesse ragione». Oggi lei, che da dieci anni ha un altro compagno, ricorda il suo congedo dall’uomo che rappresentava la sua famiglia appunto: «Ero in ospedale quando Marco morì. Aveva un tumore diffuso. “Ho due tumori” ripeteva lui gradasso» sorride. «Mi telefonarono per dirmelo e io in un momento consolatorio ricordo un abbraccio con la anestesista che era lì. Gli ultimi giorni furono scanditi dal viavai in via della Panetteria. Ricordo Clemente Mimun che ci portava la spesa, le mozzarelle... C’erano incontri. Laura Hart e Matteo Angioli lo accudivano. Venne Vasco Rossi».
LUI E VASCO
Il «Blasco» raccontò poi al Corriere la sua fratellanza con Pannella. «Vuol sempre candidarmi» rivelò «ma io so fare solo il mio di lavoro». Mai entrato nell’elenco dei candidati celebri (Cicciolina, Toni Negri, Leonardo Sciascia) del leader radicale, l’autore di Vita spericolata ha più volte testimoniato il suo affetto nei confronti di Pannella.
Rammarichi? Malinconie? «Mi dispiace per quello che con un eufemismo definirei scarso interesse del nostro tempo ed esecutivo nei confronti delle carceri. É difficile pensare che Marco rimarrebbe in silenzio nei confronti di questo ordinario massacro di legalità operato da chi, di fronte ai detenuti, suggerisce di “buttare via la chiave”...»
«NON ERAVAMO UNA COPPIA TIPICA, MARCO PENSAVA CHE IL MATRIMOIO TRA DUE PERSONE SAREBBE DOVUTO AVVENIRE ALLA FINE E NON ALL’INIZIO DELLA RELAZIONE»