«EVENTI ESTREMI: LA LORO FORZA È IL 20 PER CENTO PIÙ DISTRUTTIVA»
L’anno più caldo della storia umana. E già questo basterebbe a dare la misura climatica del tempo che stiamo vivendo. Ma il 2023 è stato anche l’anno in cui sono esplosi gli “eventi estremi” (come si chiamano proprio in gergo tecnico)': le ondate di calore che hanno colpito il Nord America, l’Europa e la Cina l’estate scorsa, la siccità record in Amazzonia, le alluvioni devastanti da Emilia-Romagna e Toscana fino a Libia e a India. «Immagino che mi stia per chiedere qual è il ruolo del cambiamento climatico». È proprio così. Poche scienziate hanno più titolo a spiegarlo: Friederike Otto, fisica, insegna Scienze climatiche al Grantham Institute for Climate Change and the Environment dell’Imperial College di Londra, fra i centri di ricerca più prestigiosi al mondo. Ed è fondatrice di World Weather Attribution, l’organizzazione che con gli “studi di attribuzione” (attribution science) sta rivoluzionando la comunicazione proprio sugli eventi estremi.
«Facciamo un esempio recente: la tempesta Ciaran, che settimane fa ha colpito diversi Paesi, tra cui Francia, Regno Unito e Italia, con raffiche di vento superiori ai 200 chilometri orari. Un altro evento estremo, certo, ma un tipo di tempeste autunnali-invernali che vediamo abbastanza regolarmente in alcuni anni. Dal 2015, quando ho fatto il mio primo studio in materia, ci sono stata Eve, Desmond, Francis... La differenza sta nel fatto che oggi ne vediamo molte di più per il cambio climatico. E soprattutto, che sono ben più distruttive perché le precipitazioni che portano hanno una maggiore intensità del 20% rispetto a quella che sarebbe stata senza il riscaldamento globale. Inoltre, poiché il livello del mare sta già salendo per la stessa ragione, le mareggiate sono più devastanti».
Stiamo entrando in un’era di “eventi estremi”?
«Ovviamente ci sono sempre stati fenomeni meteorologici di questo tipo. Ora molti di questi sono assai diversi da come sarebbero stati “senza”, a cominciare dalle ondate di calore. Quindi in questo senso sì, siamo entrati in una nuova era di eventi estremi».
Perché ci sembra un problema per lo più dei Paesi occidentali, e del Mediterraneo in particolare?
«Non è così. Di sicuro qui abbiamo già avuto condizioni simili, anche se la pioggia non è stata mai così, e allo stesso modo le ondate di calore. Ma la situazione è uguale nel resto del mondo. Quest’anno ci sono state numerosissime ondate di calore in Africa. Solo che non sono riportate nei notiziari perché nessuno si preoccupa
Adattarsi alle temperarture che cambiano sarà sempre più difficile, «ma non è come un precipizio in cui cadiamo: possiamo sempre fermarci»
dell’Africa in Occidente. Invece hanno un impatto enorme. E ci sono state precipitazioni estreme in altre parti del mondo. Piuttosto è proprio un problema occidentale in quanto è l’Occidente industriale lo ha causato. Ma non è certo l’Occidente a pagarne le maggiori conseguenze».
La “scienza dell’attribuzione” degli eventi studia proprio la “differenza” che fa la crisi climatica?
«L’idea di base è semplice. Scopriamo cosa accade nel mondo in cui viviamo oggi e lo confrontiamo con il mondo che sarebbe stato possibile senza il cambiamento climatico. E sappiamo bene come sarebbe stato, perché abbiamo osservazioni del passato e possiamo calcolare anche quanti “gas serra” sono stati immessi nell’atmosfera dall’uomo. Quindi con semplici modelli meteorologici e climatici simuliamo lo stesso mondo, ma senza i “gas serra”. E scopriamo, per esempio, se l’ondata di caldo che ha colpito l’Europa a luglio poteva verificarsi lo stesso».
Risultato?
«Da impossibile è diventato un evento che ha il 10% di probabilità che si verifichi ogni anno».
successo è avere sistemi di allerta precoce ben collaudati che non causino troppi falsi allarmi in modo che le persone non si stufino di rispettarli. Due anni fa in Germania, le inondazioni che hanno fatto più di 300 vittime erano previste, ma i sistemi di allerta non hanno funzionato. Dobbiamo lavorare per migliorarli, ma non è una questione scientifica».
Sperimenteremo eventi estremi ancora più forti?
«Finché continueremo a bruciare carbone, petrolio e gas vedremo temporali più potenti, ondate di calore sempre più calde. La buona notizia è che, quando smetteremo di farlo, la situazione smetterà di peggiorare. È l’unico modo per fermare tutto».
Arriveranno pure in luoghi risparmiati in passato?
«Gli uragani del Nord Atlantico si spingeranno oltre, formandosi più a Nord e a Sud, vedremo ondate di calore laddove non esistevano. E la siccità porta già altri problemi perché le temperature sono più alte e l’evaporazione anche, quindi la stessa quantità di pioggia ora non ferma la siccità».
Spesso si parla di “punti di non ritorno”: 2030, 2050... Esiste davvero un momento irreversibile?
«Non c’è, perché ogni “pezzetto” di CO2 nell’atmosfera è importante, e ogni decimo di grado è importante. E quindi più aspettiamo, più combustibili fossili bruciamo, più alte saranno le temperature. E questo significa che adattarsi sarà più difficile, più persone moriranno. Ma non è come un precipizio in cui cadiamo. Possiamo sempre fermarci».
Potremmo ancora tornare a come era un tempo?
«No, l’oggi è irreversibile. Ma anche se non c’è un punto di svolta climatico, ha senso fissare politicamente degli obiettivi. Il problema è che non abbiamo le politiche per raggiungerli effettivamente».
Il negazionismo climatico è ancora forte?
«Il negazionismo diretto, che dice che la crisi climatica non esiste, non più. Ciò che ancora resiste è l’idea che si tratti di un problema che riguarda i verdi, la sinistra, non la gente comune. Il che è l’opposto della verità. Sono le persone con poco reddito, con cattive condizioni di salute, che vivono in alloggi poveri e così via, che in realtà muoiono per le ondate di calore. Ma forse questo, in effetti, è la stessa cosa del negazionismo climatico».
Greta Thunberg è intervenuta anche su temi estranei al clima, come la guerra in Medio Oriente.
«Ha molto sbagliato con ciò che ha detto sulla Palestina. Non avrebbe dovuto farlo. Così ha davvero danneggiato il lavoro che ha fatto prima per il clima».