«CI DICONO ANCORA: NON FATE LE ISTERICHE» ENDOMETRIOSI
Un’attivista, una malattia «invisibile» e una consapevolezza nuova. Perché «collettiva»
Era l’autunno del 2020, il mondo si preparava a una nuova chiusura, in rete fiorivano immagini di pronto soccorso, infermieri vestiti da astronauti, provette e tamponi positivi. Un’immagine, però, bucò il susseguirsi di scatti ospedalieri con la forza di una donna in disarmo: era l’attrice e attivista Lena Dunham, che su Instagram pubblicò una foto di lei sdraiata su un lettino da ginecologo, le gambe semichiuse. In un post (e in un lungo personal essay pubblicato su Harper’s Magazine), Dunham parlò senza riserve di una patologia ancora volutamente insabbiata tra reticenze e diffidenza, l’endometriosi. Lo fece legando questa malattia (che nasce dalla presenza e dall’accrescimento progressivo di isole di mucosa uterina nella parete muscolare dell’utero) all’impossibilità di avere un figlio, in un racconto durissimo ma toccante che univa inesorabilmente la sterilità, il dolore fisico, il fallimento percepito dell’essere donna.
SUSAN SARANDON, WOODY GOLDBERG E LE ALTRE
Per la verità, tre anni prima anche il romanzo di Sally Rooney, Parlarne tra amici, aveva affrontato questo tema, sospeso tra il corpo e lo spirito, perché da una parte ci sono gli spasmi veri, quelli che ti bloccano al letto e ti impediscono di fare qualunque cosa e, dall’altra, c’è il tabù della donna fisicamente fragile e dunque non idonea alla procreazione, all’allevamento dei figli o al piacere. Poi sono arrivate le confessioni di Susan Sarandon, di Whoopi Goldberg e della nostra Nancy Brilli. Quindi un fiume: di donne, di parole, di thread in rete, di cieli aperti sull’endometrio. Attiviste, femministe, gruppi online bene organizzati, passi legislativi — in Italia l’endometriosi è riconosciuta come malattia invalidante in tutti gli stadi clinici.
E adesso, alle soglie della primavera, l’argomento si illumina di due nuovi sguardi: il 4 marzo arriva su Prime Video Antonia, una serie tv incentrata su una donna che riceve una diagnosi di endometriosi, e poi un libro, il primo della nuova collana Feltrinelli intitolata «Tagli», proprio perché affronta temi di grande attualità con un taglio ogni volta differente, dai diritti civili alle scelte sul genere. È uscito a fine gennaio, infatti, Noi vogliamo tutto. Cronache da una società indifferente, scritto da Flavia Carlini, nata nel 1996, autrice, divulgatrice e attivista politica.
Quando Nanni Balestrini, nel 1971, scrisse il romanzo Vogliamo tutto, Carlini non era nemmeno nata, ma alcuni tratti di Alfonso Natella, l’operaio campano che, nel libro di Balestrini, lottava contro lo sfruttamento, si ritrovano in queste pagine. Dove si parla di corpi
(femminili) invisibili, di violenza medica, di controllo politico. «E di dolore, dolore spesso non riconosciuto, come se il dolore delle donne fosse sempre un’invenzione o una esagerazione», dice Carlini.
«BEVETE CAMOMILLA, PENSATE A CHI STA PEGGIO»
Che cosa si fa quando una donna accusa dolori fortissimi in un quadro diagnostico difficile da mettere a fuoco? «Si dice loro di stare tranquille, di bere una camomilla, di non fare le isteriche e di pensare che c’è chi sta peggio». Carlini racconta di aver dovuto, all’inizio, fare da sola, perché le visite mediche costano e il percorso per arrivare a una diagnosi è lungo e tortuoso («A quanto pare se il ginecologo non è specializzato in endometriosi non può vedere l’endometriosi») e i luoghi di lavoro non hanno pietà per i trentenni (orari rigidi e paghe scarse). Arriva per lei lo smarrimento, lo scandaglio in rete, le informazioni da cercare sui siti più affidabili. Ma, soprattutto, arrivano le testimonianze di altre donne: nelle parole delle altre Flavia ritrova i suggerimenti della camomilla e dello zenzero e così va al nodo della sua riflessione, che si basa su una generale mal comprensione di questo e di altri temi legati al corpo femminile: «Cinismo, sarcasmo, sopraffazione. Credo che endometriosi possa dirsi una malattia invisibile nel senso che centinaia e centinaia di corpi sarebbero ancora senza diagnosi se non fosse per la casualità di aver intercettato qualche discorso online. Come è stato per me».
UNA RETE DI «SOPRAVVISSUTE»
Nasce qui il titolo del libro e, in generale, della vita da attivista di Carlini, che comincia a usare i social per denunciare violenze e sfruttamento dopo un grave episodio personale che racconta nel libro. «Chi è che conosce la linea che separa una violenza da una visita ginecologica?», si chiede. E comprende che la risposta sta nello scambio solidale: forse possono conoscere questo confine altre donne che hanno vissuto la stessa terribile esperienza, si convince. E così, a poco a poco, si crea una rete di «sopravvissute» che hanno conosciuto gli stessi sguardi scettici, gli stessi sorrisi sarcastici, la stessa diffidenza (anche da parte di altre donne, sia chiaro). Carlini, però, allarga lo sguardo e unisce queste riflessioni ad altri ambiti, più sottili, per esempio l’invisibilità di alcuni corpi. Come quelli con la pelle nera, dove una diagnosi è più complicata rispetto a quelle su corpi bianchi, perché gran parte della letteratura medica ha una storia che si fonda su ricerche e sperimentazioni fatte sulla pelle candida. E allora riecco la valanga di ritardi, di spese per le cure mediche private, di costi su costi.
Carlini si concentra sui dati concreti. Cifre, statistiche, conti, come fa nei suoi video in rete: «Secondo il report Istat Noi Italia 2023 emerge che l’11% delle persone che avevano bisogno di visite specialistiche o esami ha rinunciato per problemi economici legati alle difficoltà di accesso al servizio».
ARRABBIARSI NON BASTA PIÙ
È così che il tema dell’endometriosi e vulvodinia, che tanto è dibattuto oggi in rete e sui giornali, diventa qualcosa d’altro. Uno strumento per parlare dei corpi femminili e dei buchi legislativi che ne minano la sicurezza. Un grimaldello per entrare in un territorio più complesso, che è quello dei diritti, dove i ragazzi e le ragazze della sua generazione hanno il diritto di battere i pugni sul tavolo. «Mi danno da riflettere le conferenze in cui si invitano ospiti autorevoli a discutere di parità di genere, ma neanche una donna è presente tra i relatori. Mi danno da riflettere i panel in cui si discute di geopolitica e degli impatti dei paesi occidentali sul resto del mondo, ma nemmeno a uno dei migliaia di testimoni dei sistemi di dominio internazionali viene passato il microfono». Si spiega così il titolo del libro, che non vuole essere un invito generico ad «arrabbiarsi», ma vuole essere l’invito di una ventottenne a «decostruire la realtà che ci circonda, a prendere coscienza di oppressioni e privilegi».
Una consapevolezza nuova, un po’ come quella a cui era giunta nel 2020 Lena Dunham. La diagnosi di endometriosi, poi l’asportazione dell’utero e di un ovaio. Quindi la riflessione, che deve per forza andare oltre le gabbie di chi ci vuole solo come corpi che si riproducono. «Ho scritto questo pezzo per tutte le donne che sono state deluse dalla scienza e dalla propria natura biologica, deluse soprattutto da una società che fatica ad immaginare per loro un altro ruolo». È, questa, la vera grande sfida che ci riguarda tutte, al di qua o al di là dei confini medici. E forse nel libro di Carlini si legge un invito ulteriore: tutti e tutte, senza distinzioni di genere, in una gigantesca consapevolezza collettiva che ci faccia aprire gli occhi.
«CHI CONOSCE LA LINEA CHE SEPARA UNA VIOLENZA DA UNA VISITA GINECOLOGICA? LE ALTRE DONNE CON ESPERIENZE COME LA MIA»