CE N TRa rE
SPESSO USATO INVECE DI ENTRARCI UN ERRORE. MA FINO A QUANDO?
Io c’entro». Così recitava nel 2006 lo slogan dell’UDC (Unione Di Centro). Sì, va bene: ma che centra? Non il bersaglio o l’obiettivo, visto che in quelle elezioni politiche l’UDC prese il 6,8% e lo schieramento di centrodestra di cui faceva parte finì sconfitto. «C’entra perché ce cape», si dice a Roma; ovvero, tautologicamente: c’entra perché c’entra. Ma, rieccoci al punto, non è così che si fa centro. Tutt’al più un centrino, come quelli di pizzo che le nonne tenevano sul tavolo del salotto. Ancora, però, non si capisce cosa c’entrino con questa rubrica. Presto detto. Teresa Inserra, che fa l’insegnante nelle scuole superiori, mi ha sollecitato sulla questione, preoccupata dal trovare la confusione tra entrarci e centrare anche nella traduzione di un libro per adolescenti e nelle parole di un’attrice sul palco di Sanremo: «L’amore non deve centrare (o c’entrare?) con il possesso».
Il meccanismo che ha portato a questo tipo d’errore è piuttosto chiaro. Le forme del verbo entrare precedute dal ci locativo (come tu c’entri, noi c’entravamo, loro c’entreranno) si sono via via sovrapposte a quelle omòfone – cioè pronunciate in modo uguale – del verbo centrare (tu centri, noi centravamo, loro centreranno). A quel punto, i due paradigmi verbali si sono confusi anche all’infinito. La prova di questa trafila è l’anello di congiunzione rappresentato dalla forma c’entrare, con l’apostrofo. «Ilaria ha sempre detto di non c’entrare nulla» era scritto qualche tempo fa in un articolo del Corriere. Forma in realtà già molto traballante: perché in italiano contemporaneo diciamo all’infinito – ad esempio – «ha detto di non passarci» o «di non tornarci», ma mai (se non forse in usi regionalmente marcati) «di non ci passare» o «di non ci tornare».
Oggi come oggi l’uso di centrare per entrarci può essere considerato senz’altro come un errore. Ma non è detto che un domani (o un dopodomani) non possa – se davvero si generalizzerà – diventare un uso normale. Un po’ come sta succedendo – è inutile far finta di non vederlo – con il piuttosto che disgiuntivo («quest’estate vorrei andare in Grecia piuttosto che in Sardegna piuttosto che a Ibiza»). Chi se la sente, per evitare di ingenerare qualunque possibile confusione, potrebbe fare come l’inossidabile Tex Willer, che continua imperterrito dal 1948 a dire «non entrarvi» (ricorrendo allo scolastico vi locativo). In caso, mi raccomando: v’éntri con la e chiusa e non vèntri, che rischierebbe di confondersi con il plurale di ventre. Altrimenti, come diceva mia mamma, saremmo da capo a dodici.
LA CONFUSIONE NASCE DA FORME CON LA STESSA PRONUNCIA, COME AD ESEMPIO C’ENTRO E CENTRO