SÌ, IL CONCETTO DI SOVRANITÀ PORTÒ ALLO STATO MODERNO MA ORA SENZA ALLEANZE SI È DEBOLI
Poco conosciuto fuori delle cerchie degli specialisti, Jean Bodin è stato un importante giurista francese, vissuto nel sedicesimo secolo. È a lui che dobbiamo la messa a punto del concetto che più influenza i nostri dibattiti politici, quello di «sovranità». «Sovranità», così scriveva Bodin, «è il potere di promulgare leggi per tutti i sudditi, e senza che questi ultimi possano imporne a loro volta». Nel momento in cui si diffuse, questa concezione giocò un ruolo decisivo nell’Europa devastata dalle guerre di religione. Delegittimava le pretese di duchi o baroni, ecclesiastici o comunità religiose, di poter esercitare un potere autonomo, alternativo e opposto a quello del sovrano. Solo il sovrano poteva insomma battere moneta, promulgare leggi, dichiarare guerra. Nasceva così l’idea di Stato moderno, perché era proprio l’esercizio della sovranità che ne definiva le funzioni essenziali (come appunto quelle appena indicate: moneta, leggi, guerre). Nasceva così il mondo moderno, uscendo dalle frammentazioni del mondo medievale.
Ma questa concezione definiva le prerogative di un singolo Stato anche nei rapporti con gli altri Stati. E qui, come vide Luigi Einaudi proprio sul Corriere della Sera, qualche nuovo problema sorgeva. Nel pieno della Prima Guerra Mondiale Einaudi si interrogava come fare per evitare carneficine come quella che aveva falciato così tante vite in quegli anni. L’unica soluzione era un’unione tra le varie nazioni. Così si era anche cercato di fare nei secoli passati. Sempre fallendo, però. Perché? La ragione era evidente, per Einaudi: fino a che i singoli Stati fossero rimasti abbarbicati ad un’idea forte di «sovranità», mettendo davanti all’interesse comune i propri interessi privati non negoziabili, non si sarebbero potute creare unioni reali e durature. Ci sarebbero potuti essere accordi variabili, magari di natura commerciale, ma sempre precari: perché non appena si fossero rivelati contrari agli interessi di uno Stato o di un altro, sarebbero stati immediatamente rinnegati. La soluzione era una soltanto, scriveva Einaudi: rinunciare al dogma della sovranità perfetta.
Una idea difesa con ancora più convinzione nel nuovo mondo uscito dalla ancora più catastrofica Seconda Guerra Mondiale, quando era divenuto ancora più lampante che i presunti interessi nazionali, nella misura in cui indebolivano i progetti comuni, non risultavano neppure così vantaggiosi per i singoli Stati: in fondo rendevano quei singoli Stati ancora più deboli e isolati nella competizione con potenze globali sempre più forti e determinate (gli Stati Uniti, la Russia sovietica…). «Pensare che uno Stato, sol perché si dice sovrano, possa dare a sé stesso leggi a suo libito, è pensare l’assurdo. Mille e mille vincoli legano gli uomini di uno Stato agli uomini di un altro Stato. La pretesa alla sovranità assoluta non può attuarsi entro i limiti dello Stato sedicente sovrano». O ancora: «Gli uomini non possono vivere, se la loro vita è ridotta ai limiti dello Stato. Autarchia vuol dire miseria». Non sarebbe meglio rinunciare a questo mito di un’indipendenza assoluta, prendendo atto del fatto che siamo tutti in relazione reciproca, cercando così di promuovere relazioni tra popoli liberi? Lo scriveva Einaudi e sarebbe interessante discuterne nei prossimi mesi, avvicinandoci alle elezioni europee.
GIÀ EINAUDI SUL CORRIERE PROPOSE DI UNIRE LE NAZIONI PER EVITARE NUOVE CARNEFICINE. UN DIBATTITO ATTUALE IN VISTA DELLE EUROPEE