LO SPAZIO RISERVATO AL DISSENSO DEFINISCE LA QUALITÀ DI UN PAESE DEMOCRATICO
Cara Lilli,, c’è stata troppa sproporzione nell’azione contro i ragazzi a Pisa. È dovere delle forze pubbliche garantire il dissenso.
Cara Lilli, ad essere aggrediti dalle forze dell’ordine non sono tutti coloro che partecipano ad adunate non autorizzate. Per chi si raduna per commemorare i camerati caduti solo un «discreto» controllo a distanza.
Cari lettori, Il fatto che in un Paese come l’Italia, con la sua storia, i manganelli – simbolo della repressione fascista - entrino per forza di cronaca nel dibattito pubblico è di per sé inquietante. Ma anche lasciando al loro posto gli spettri del passato, il rumore sordo di quei tonfi di Pisa provoca brividi.
In una società regolata dalla legge, la sicurezza è la cornice che garantisce l’esercizio dei propri diritti e delle proprie libertà, compresa quella di manifestare. E il monopolio della forza attribuito ai corpi dello Stato è a tutela e protezione dei diritti costituzionali, non contro di essi: questo è lo scarto tra sicurezza e repressione. Ciò che preoccupa è che questi principi, basilari in una democrazia matura, debbano essere ribaditi, tanto che è dovuto intervenire il Presidente della Repubblica che, con parole molto nette, ha chiamato in causa direttamente il ministro dell’Interno. Mattarella ha rimarcato che «l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli», che anzi sono prova di «fallimento». Parole che suonano come una condanna ma anche come un allarme, che purtroppo il governo non ha voluto cogliere, a partire da Giorgia Meloni.
Ha ancora una volta preferito politicizzare lo scontro, spingendo la polizia nel quadro della lotta politica fra destra e sinistra. Una manipolazione pericolosissima, che da una parte offende la professionalità, la dedizione e lo spirito di sacrificio degli agenti, e dall’altro piega a uso e consumo della propaganda di una parte politica un’istituzione che – per sua natura – deve garantire a tutti i cittadini legge, ordine e diritti. Le manganellate inferte agli studenti arrivano dopo altri episodi che hanno colpito l’opinione pubblica, come l’identificazione alla Scala del loggionista antifascista o quella dei milanesi che deponevano dei fiori per Navalny.
Non vogliamo credere che queste destre al potere abbiano in animo di usare politicamente le forze dell’ordine: sappiamo solo che c’è un contesto, un clima, un umore che non tranquillizzano. E questo riguarda anche lo statuto attribuito al dissenso nell’Italia di Giorgia Meloni. In un modello di leadership che gioca molto sulla costruzione del nemico, le voci dissonanti o anche solo autonome vengono spesso vissute non come controparte del fisiologico gioco democratico, ma come un fastidio, se non proprio come una minaccia. C’è questo anche dietro gli attacchi ai giornalisti critici, dietro l’insofferenza per alcune iniziative della magistratura, dietro la decisa presa d’artiglio sulla televisione pubblica, fino alle proposte di Daspo per gli artisti che parlano di politica. Eppure, come osservava Norberto Bobbio, il criterio discriminante per valutare la qualità di una democrazia è proprio «la maggiore o minore quantità di spazio riservato al dissenso». Le immagini delle manganellate scaricate su ragazzi inermi hanno fatto il giro del mondo: non il massimo per il prestigio della Nazione che la presidente del Consiglio dice di avere a cuore come niente altro.
LE MANGANELLATE DI PISA ARRIVANO DOPO L’IDENTIFICAZIONE DEI MILANESI CHE DEPONEVANO FIORI PER ALEXEI NAVALNY