LA USANO 9 TESTATE SU 10: COSÌ PUÒ CAMBIARE IL NOSTRO LAVORO
L’intelligenza artificiale ha già cambiato il mio lavoro. O almeno un ambito specifico del mio lavoro: le interviste. Sbobinarle è un’attività lunga e noiosa, eppure indispensabile. Da molti mesi lo fa una AI per me. Ci sono alcuni smartphone che hanno questo super-potere inserito nell’app Registratore. Funzionano benino. Meglio ancora se si riesce a un utilizzare un pc o un Mac che sfrutti Whisper, il modello “speech-to-text” di OpenAI: i risultati sono sbalorditivi e le ore di lavoro - meccanico e non creativo - risparmiate in un anno sono decine. È un buon modo di vedere l’avvento dell’AI nelle redazioni. Non sostituti dei giornalisti per creare articoli (anche se possono farlo, per quanto non ancora benissimo) ma strumenti al servizio di reporter, commentatori, titolisti, esperti SEO, social media manager. Ognuna di queste categorie può già sfruttare un qualche strumento di AI per semplificarsi la vita. E tantissimi già lo fanno. Secondo un report della London School of Economics, il 90% delle testate giornalistiche utilizza già l’AI
(in qualche modo, anche sperimentale) nella produzione di news, il 75% per la raccolta di informazioni, l’80% per la distribuzione delle notizie. Un esempio virtuoso italiano? La testata di tecnologia DDay.it ha da poco aperto una sezione con articoli tradotti in inglese dall’intelligenza artificiale. «La traduzione con GPT-4 risulta accurata su argomenti tecnici e comunque leggibile. Ma il pezzo dev’esser ben scritto in italiano, altrimenti anche la traduzione è scadente» dice Roberto Pezzali, caporedattore di DDay. I prossimi utilizzi? «Stiamo facendo test sull’AI che dà suggerimenti, propone alternative di titoli e post per i social. Tutte attività di complemento che non intaccano le scelte editoriali».