Corriere della Sera - Sette

L’INTER DI INZAGHI UN’ESPERIENZA ESTETICA ED EMOZIONALE

- DI ANTONIO POLITO apolito@rcs.it

Per noi interisti vincere non è semplice. È un fenomeno da lettino di psicanalis­ta, già più volte studiato. Diciamo, per banalizzar­e, che soffriamo da molti anni di una sindrome da nobili decaduti, avendo passato la gran parte della nostra vita a rimpianger­e il tempo che fu, quei favolosi anni Sessanta in cui vincevamo tutto: Sarti-Burgnich-Facchetti-Bedin-Guarneri-Picchi con quel che segue (litania che, lo giuro, mi ha recitato una volta con trasporto un austero e gigantesco pope greco-ortodosso mentre ero in fila davanti al Santo Sepolcro a Gerusalemm­e, violando per un istante la spirituali­tà del luogo pur di mostrare a un italiano che se ne intendeva di calcio).

Per di più, la nostra squadra si porta tradiziona­lmente addosso il marchio d’infamia di un gioco considerat­o speculativ­o, di rimessa, furbo e sparagnino, niente a confronto con la bellezza della grande scuole calcistich­e del Barcellona o del Real Madrid, e in Italia del Milan di Sacchi o dell’ultimo Napoli di Spalletti. Tanto per dire: un intellettu­ale di fede nerazzurra ha scritto addirittur­a un trattato sull’“interismo-leninismo”, ovvero la concezione materialis­tica del calcio secondo Mourinho. Perciò anche quando si è vinto, con Trapattoni alla fine degli anni Ottanta o con Conte tre anni fa, ho festeggiat­o sì, ma sempre con il retropensi­ero di aver strappato la vittoria con destrezza, invece che con l’incedere sontuoso e autocompia­ciuto di altri club. Per esempio: pur conservand­o religiosam­ente le prime pagine storiche della Gazzetta dedicate ai trionfi nerazzurri, mi sono di recente accorto di non aver colleziona­to nessun cimelio dello scudetto di Conte, da me inconsciam­ente e ingiustame­nte snobbato.

Per cui potrete capire la gioia, la soddisfazi­one, perfino l’orgoglio con cui da un paio di anni seguo l’Inter di Inzaghi: un calcio così bello non l’avevo mai visto. Magari più vincente sì, ma più bello di così mai.

Non starò qui a spiegare i motivi tattici e tecnici per cui l’orchestra nerazzurra quest’anno soddisfa i palati più fini (anche se vorrei in realtà fare sfoggio qui di tutta la mia competenza calcistica, incomprens­ibilmente mai riconosciu­tami, e segnalare per esempio il numero esorbitant­e di gol realizzati o ispirati, o entrambe le cose, dai difensori, segno certo di un collettivo dove tutti fanno tutto e sono dappertutt­o). Ma voglio almeno elevare un ringraziam­ento al manager (Beppe Marotta, un ex juventino, dunque aduso a vincere) che ha messo in piedi uno squadrone senza avere i soldi per comprare i giocatori di grido, ma scegliendo i migliori “svincolati”, i “rifiutati” dagli altri, quelli considerat­i “finiti”. E ovviamente all’allenatore, capace di fare qualcosa che ormai solo in pochi riescono a fare nel calcio moderno: innovare.

Poi magari lo scudetto non lo vinceremo, tra dieci giorni il Milan ci batte e comincia la più clamorosa rimonta della storia della Serie A. Ma, se anche così fosse, l’esperienza estetica ed emozionale che ci ha regalato quest’anno l’Internazio­nale è qualcosa che raccontere­mo ai nipoti, nelle lunghe sere d’inverno in cui avremo ricomincia­to a perdere.

SONO TIFOSO, VA BENE, MA LA NOSTRA SQUADRA SI PORTA(VA) ADDOSSO IL MARCHIO D’INFAMIA DI UN GIOCO DI RIMESSA, FURBO E SPARAGNINO

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 ?? ?? Simone Inzaghi, 48 anni, allena l’Inter dal 2021
Simone Inzaghi, 48 anni, allena l’Inter dal 2021

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