IL MALE È FACILE DA COMPIERE, PER TUTTI IL BENE È UNA SCELTA PIÙ ALTA RICHIEDE FATICA ED EDUCAZIONE
Il male è, a tutti gli effetti, banale. L’aggettivo non vale solo per le tragedie del Novecento, ma anche per il nostro quotidiano. Per compierlo, basta non porre resistenza agli istinti peggiori: il rancore, l’invidia, l’egoismo.
L’APPUNTAMENTO
CON LE ALTRE
Prendere la frustrazione e, anziché convertirla in energia creativa, lasciare che ci porti a distruggere quel che non ci piace o ci ostacola, ferire gli altri, sputare bile. Il male è facile, il bene invece no: richiede conoscenza, sforzo di uscire da sé, sacrificarsi nel senso più bello del termine: rinunciare ai propri biechi interessi per darsi al mondo e renderlo migliore,
Ricordo quando ho compiuto, intenzionalmente, il male. Me ne vergogno ancora adesso. Ero alle elementari. Una mattina, forse per farmi grande di fronte alle amiche, decisi di colpire una bambina che non mi stava simpatica. Che andava bene a scuola, con cui mi sentivo in competizione. E che non mi aveva fatto nulla. Scrissi un bigliettino di brutte parole e glielo diedi per vederne l’effetto. Lei scoppiò a piangere. E vedere il suo volto in lacrime mi gelò. Del resto: cosa mi ero aspettata? Poi andò dalla maestra, appena entrata in aula, e le consegnò il foglietto indicandomi con il dito. Quel gesto mi condannò e, insieme, mi mise in salvo. La maestra lesse e mi sgridò davanti alla classe. Quel pomeriggio, da mia nonna, a piangere fui io, inconsolabile, perché quando sei colpevole è molto più difficile accettare una ferita. A questo porta compiere il male: a una radicale solitudine. Mia nonna mi disse una frase, anche questa indelebile: «Oggi hai sbagliato, domani puoi riparare». Avevo chiesto scusa alla bambina già quella mattina, dal giorno seguente diventai sua amica.
Quell’episodio mi ha segnato, in bene. Ho litigato, ho deluso, ho compiuto errori, ma non ho più voluto fare del male. Di fronte alle migliaia di bigliettini virtuali pieni d’odio che oggi circolano sul web, mi chiedo perché la società non preveda anche qui figure che educhino al bene con l’efficacia della mia maestra e di mia nonna. Perché al bene bisogna educare: non è istinto, è una scelta. Secondo una parte della teodicea, il male esiste perché gli esseri umani sono stati creati liberi e la libertà è il dono più grande. La libertà di scegliere il bene. Di opporre al male il pensiero, il cuore: non è buonismo, è coraggio. Il bene è ambizioso: ha il futuro e la collettività come orizzonte. Non è il mio appetito di adesso, ma un progetto d’insieme. Non solo il web, anche i talk show e i ritrovi al bar sono spesso inquinati: ti attacco perché ti invidio, perché non la pensi come me. Il male non riguarda i mostri: riguarda noi. È un attimo: abbassare la guardia, permetterci il peggio, la “pancia” che è un luogo ancestrale di forza sciolta dalla cultura. La cultura delle parole che non feriscono, bensì dialogano, uniscono e, come un tracciante nella notte, indicano una via.
DA BAMBINA HO COMPIUTO INTENZIONALMENTE UN ATTO CATTIVO, MA SCUOLA E FAMIGLIA MI HANNO INSEGNATO A NON RIPETERLO