Corriere della Sera - Sette

P R o p A GAndA

DALLA DIFFUSIONE DELLA FEDE ALLA CREAZIONE DEL CONSENSO

- DI GIUSEPPE ANTONELLI

In principio era il verbo. Oggi propaganda è anche il nome di un marchio d’abbigliame­nto, di una fortunata trasmissio­ne televisiva (Propaganda live, su La7 con Diego Bianchi e Makkox), di un brano tormentone cantato da Fabri Fibra con Colapesce e Dimartino («E allora sì, propaganda, propaganda / la risposta ad ogni tua domanda»). Oggi propaganda è una parola internazio­nale, che si trova in inglese e in tedesco così come – ad esempio – in russo o in turco. Ma in principio, appunto, era un verbo. Un verbo latino di modo gerundivo, proprio come agenda (etimologic­amente: le cose da fare, che devono essere fatte) o merenda (da meritarsi), locanda (da affittare), persino mutande (da cambiarsi). E fin dal principio la propaganda è stata una questione di fede. L’origine della parola, infatti, va cercata nel nome di un’istituzion­e religiosa: De propaganda fide; la congregazi­one istituita nel 1622 da papa Gregorio XV per propagare la fede cattolica nel mondo.

Il passaggio dal significat­o religioso a quello politico avviene soltanto con la rivoluzion­e francese, quando la forma propagande comincia a essere usata per riferirsi ad azioni organizzat­e con lo scopo di diffondere un’opinione o una dottrina politica. I primi esempi con questo significat­o risalgono, secondo il Trésor de la langue française, al 1792. Lo stesso anno in cui Napoleone dava vita al bureau d’esprit: una laicissima istituzion­e destinata, non a caso, alla propaganda governativ­a. Da gerundivo latino a nome abbreviato di una congregazi­one religiosa a parola che indica la macchina del consenso. Sul modello del francese, anche in italiano propaganda diventa a quel punto un sostantivo singolare femminile.

La prima attestazio­ne finora nota nella nostra lingua risale ancora all’ambiente rivoluzion­ario e si trova nel verbale di un’assemblea della Repubblica cisalpina datato 11 dicembre 1797. E la parola è impiegata già in accezione negativa, per denunciare il tono retorico di alcune frasi in cui si sentivano «dei principi della propaganda». Quasi un secolo dopo, nel suo grande dizionario della lingua italiana (il volume è del 1869), Niccolò Tommaseo scriveva alla voce propaganda: «Fare una propaganda, Far propaganda dicesi anco di Società o impresa o azione cospirante di più persone per fondare o distrugger­e checchessi­a, per piantare e spiantare, per affermare e negare. Sarebbe da smettere». Purtroppo, come sappiamo fin troppo bene, non s’è smessa affatto: né la parola né – soprattutt­o – la pratica.

IL PASSAGGIO AL SIGNIFICAT­O POLITICO AVVIENE CON LA RIVOLUZION­E FRANCESE

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