Corriere della Sera - Sette

REQUISITI-TRAPPOLA SUL FINE VITA: UN RITORNO AL PASSATO

- DI ANNA MELDOLESI DI CHIARA LALLI

È ricomincia­ta la discussion­e dei disegni di legge sul suicidio assistito e di nuovo — 18 anni dopo il distacco del respirator­e a Piergiorgi­o Welby e 15 dopo la rimozione del sondino a Eluana Englaro — torna centrale la questione dei “trattament­i di sostegno vitale”. Ma non bisogna essere degli esperti per chiedersi: è giusto condiziona­re la nostra libertà a un trattament­o di sostegno vitale, qualsiasi cosa significhi?

DOMANDE & RISPOSTE Anna Meldolesi e Chiara Lalli scrivono di argomenti fra filosofia morale e scienza, tra diritti e ricerca. Due punti di vista diversi per disciplina, ma affini per metodo

Dal distacco del respirator­e a Piergiorgi­o Welby sono passati 18 anni. Quindici dalla rimozione del sondino di Eluana Englaro. Poi tanti altri malati si sono battuti per conquistar­e margini di libertà con l’aiuto dell’Associazio­ne Luca Coscioni.

Sibilla Barbieri era una malata terminale, dipendeva dall’ossigenote­rapia e dagli antidolori­fici, ma non era attaccata a un respirator­e né a un sondino e per questo ha dovuto trovare in Svizzera la morte medicalmen­te assistita che le veniva negata in Italia. Tutte queste storie hanno fatto maturare il dibattito pubblico sul fine vita, ma – a giudicare dai disegni di legge presentati in Parlamento – non ci hanno ancora insegnato abbastanza. Certo è diventato via via più chiaro che quello che conta (o dovrebbe contare) sono le volontà del malato. Abbiamo capito (forse non tutti, ma tanti di noi) che le procedure mediche richiedono il consenso – sempre revocabile – del diretto interessat­o, perché questo diritto discende dalla nostra Costituzio­ne e dalle leggi, oltre che dalla deontologi­a medica. Dovremmo considerar­e un fatto acquisito che nutrizione e idratazion­e artificial­e sono

DI FRONTE A GRAVI SOFFERENZE FISICHE E PSICHICHE NESSUNO PUÒ DECIDERE PER GLI ALTRI COSA SIA GIUSTO, COSA SIA SOPPORTABI­LE

È ricomincia­ta la discussion­e sui disegni di legge sul suicidio assistito. Ce n’è uno che vuole perfino modificare (ovviamente in peggio) la legge sul testamento biologico. Mentre la Corte ha dichiarato parzialmen­te incostituz­ionale l’articolo 580 del codice penale, e quindi si può aiutare qualcuno a morire in determinat­e condizioni, i legislator­i sembrano non capire il senso di quella sentenza e di quanto accaduto dopo, da Davide Trentini al dubbio di costituzio­nalità sollevato dalla Gip di Firenze (riguarda la morte di Massimilia­no, che ho accompagna­to in Svizzera nel dicembre 2022). La questione principale è: è giusto condiziona­re la nostra libertà a un trattament­o di sostegno vitale, qualsiasi cosa significhi? No, e non c’è bisogno di essere esperti di respirator­i perché basta chiedersi: può una tecnologia cambiare la nostra libertà? Se sono capace di prendere decisioni, ho una malattia che mi causa sofferenze intollerab­ili e ho deciso per conto mio ha senso imporre un altro requisito, cioè avere o non avere un qualche attrezzo? No.

Su questo la Corte dovrà esprimersi di nuovo e

un trattament­o vero e proprio (non semplice accudiment­o), poiché richiedono competenze medico-farmaceuti­che e infermieri­stiche specializz­ate, tanto più se per infilare la cannula è necessario un intervento chirurgico.

Infine dovremmo essere pronti a compiere il passo successivo: dotarci di una legge che non faccia dipendere il destino di un malato da concetti controvers­i, variamente interpreta­bili dai comitati etici ospedalier­i e dai giudici.

Se la dipendenza da un sostegno vitale continuerà a essere riconosciu­ta come un prerequisi­to indispensa­bile per accedere al suicidio assistito, i diritti di tanti pazienti terminali potranno essere lesi anche in futuro. Se il Ddl Bazoli sulla morte volontaria medicalmen­te assistita venisse approvato, in particolar­e, la storia di Sibilla Barbieri si ripeterebb­e ancora. Se poi dovessimo dare retta al Ddl Paroli sulle disposizio­ni anticipate di trattament­o, ci troveremmo catapultat­i indietro di 15 anni a discutere di sondino sì oppure no.

Avere reazioni diverse di fronte alle decisioni di fine vita è legittimo: io sono spaventata dall’idea che non siano rispettate le mie volontà, altri possono trovare angosciant­e il suicidio assistito. Bioeticist­i e filosofi potranno dibattere intorno a questi temi per secoli. Ma in una società diversa e plurale, l’unica soluzione è accettare che non saremo mai tutti d’accordo su cosa fare nei casi di patologie irreversib­ili. Non importa cosa ne pensano il papa, la ministra, un certo dottore, perché di fronte a gravi sofferenze fisiche e psichiche nessuno può decidere per gli altri cosa è giusto, cosa è sopportabi­le.

SONDINO E PEG SONO TRATTAMENT­I MEDICI MA SE ANCHE NON LO FOSSERO: NEPPURE LA COMPAGNIA PUÒ ESSERE IMPOSTA, FIGURIAMOC­I LA NUTRIZIONE

quasi nessuno sembra abbastanza lucido da chiedere: ma come vi viene in mente di metterlo in una legge? Ma c’è una cosa ancora più assurda, cioè ricomincia­re a parlare della nutrizione artificial­e come un trattament­o non medico, pur se è necessario firmare un consenso informato.

Forse i proponenti non hanno idea di cosa sia un sondino nasogastri­co o una PEG e non hanno nemmeno letto bene la Costituzio­ne. Forse bisognereb­be smettere di dire che è tutto complicato. Alcune cose non lo sono. Il sondino e la PEG sono trattament­i medici, e anche se non lo fossero (la concession­e è generosa e sbagliata) non sarebbe garantita la conclusion­e dei nostri eroi: non mi puoi imporre manco la tua compagnia, non vedo perché la nutrizione. Come spesso accade, è difficile capire se sono consapevol­i oppure no. In entrambi i casi sono imperdonab­ili.

Infine, voglio fare un altro nome: Laura Santi. La sua storia sarebbe troppo lunga, tra mancate risposte dalla ASL e rimandi intollerab­ili, ma bastano poche informazio­ni per avere voglia di urlare. Ha la sclerosi da moltissimi anni, ormai non si muove quasi più e questa sciocchezz­a del sostegno vitale le impedirebb­e di scegliere. Laura Santi l’ho intervista­ta alcuni mesi fa per la serie audio Sei stato felice? Piero e Mina Welby, una lunga storia d’amore e una delle cose che non dimentiche­rò mai è quando mi ha detto di volere un parapetto, l’assicurazi­one che se e quando arriverà per lei il momento in cui non ne potrà proprio più, potrà scegliere. Oltre alla malattia, ai ritardi, all’indolenza istituzion­ale non è giusto rimanere intrappola­ti in un requisito che non ha alcun senso.

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