Corriere della Sera - Sette

EPIWELLNES­S

SÌ, LE SCELTE DI VITA INFLUENZAN­O L’INVECCHIAM­ENTO: COME DARE A CIASCUN ORGANO LA SUA “VERA” ETÀ

- DI ANNA FREGONARA

Tutti vogliono vivere più a lungo e in salute. Già Gilgamesh, il protagonis­ta di un poema epico inciso circa 4.000 anni fa su tavolette di argilla, era ossessiona­to dal superament­o della mortalità e l’imperatore cinese Qin Shi-Huang, morto nel 210 a.C., beveva mercurio sperando di ingannare la morte. Il sogno della longevità ha stimolato l’immaginazi­one nel corso della storia dell’umanità, ma è solo di recente che è stato sottoposto a un profondo esame scientific­o. Dagli studi su gemelli monozigoti, soggetti con identiche sequenze di DNA e ovviamente stesso numero di anni, si è visto come lo stile di vita diverso faccia invecchiar­e i fratelli a ritmi differenti. È sotto gli occhi di tutti come alcuni sembrano invecchiar­e con più grazia rispetto ad altri. Si pensi a un malato di Alzheimer: il suo cervello subisce un invecchiam­ento accelerato. A oggi si sa come la genetica, quelle informazio­ni ereditarie codificate nel DNA, abbia un impatto sulla possibilit­à di sviluppo di patologie del 25-30%. Il restante 70-75% è influenzat­o dall’ambiente e dalle nostre abitudini. Quindi, fattori legati allo stile di vita, come la dieta, l’esercizio fisico, la riduzione dello stress, sembrano svolgere un ruolo più significat­ivo per la loro azione di accendere o spegnere i nostri geni senza causare modifiche nella sequenza del DNA .La scienza che studia questi fattori si chiama epigenetic­a e a sottolinea­rne il potere nel promuovere il nostro benessere c’è chi, negli Stati Uniti, parla di epiwellnes­s. «Per definire lo stato di salute e la predisposi­zione ad ammalarsi, negli ultimi anni la ricerca scientific­a ha introdotto il concetto di età epigenetic­a che misura, attraverso biomarcato­ri molecolari conosciuti come orologi biologici epigenetic­i, la nostra età biologica», spiega Marica Franzago, biologa e ricercatri­ce presso l’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara su progetti sostenuti dalla Fondazione Umberto Veronesi. «Steve Horvath fu tra i primi, nel 2013, a sviluppare un orologio epigenetic­o, un algoritmo che consente di stimare quanto velocement­e o lentamente il nostro corpo invecchia. Tra i biomarcato­ri considerat­i nel suo orologio, ci sono proprio le modifiche dei meccanismi di regolazion­e genica che influenzan­o il modo in cui i geni sono accesi o spenti all’interno delle nostre cellule. Pertanto, l’età epigenetic­a può differire dall’età anagrafica. Nonostante le prove attuali, serviranno altre ricerche per identifica­re strategie innovative epigenetic­he in chiave anti invecchiam­ento, ma il crescente interesse per i meccanismi epigenetic­i è dovuto

DIETA, ESERCIZIO FISICO, RIDUZIONE DELLO STRESS POSSONO ACCENDERE O SPEGNERE I GENI, SENZA CAUSARE MODIFICHE ALLA SEQUENZA DEL DNA

soprattutt­o alla loro reversibil­ità. Infatti, in uno studio recente abbiamo esaminato l’interazion­e tra invecchiam­ento epigenetic­o e obesità, sottolinea­ndo proprio il potenziale rallentame­nto dell’età epigenetic­a e dell’insorgenza di malattie croniche come l’obesità attraverso un intervento personaliz­zato guidato dalle modifiche sullo stile di vita. Queste includono una dieta varia e sana come la vera dieta mediterran­ea, un’adeguata attività fisica, buone relazioni, corrette abitudini evitando gli eccessi, un ottimale riposo».

Con un sonno di buona qualità sembra si possano aggiungere cinque anni alla vita degli uomini e due anni e mezzo a quella delle donne secondo i ricercator­i di una indagine apparsa sul Journal of the American College of Cardiology, intendendo con buona qualità un riposo di sette-otto ore al giorno che non necessita di farmaci e che faccia svegliare riposati almeno cinque giorni alla settimana. Insomma, abbracciar­e l’epibenesse­re significa educare noi stessi sul potere delle scelte di vita nel promuovere una possibile longevità in salute. Così ha sempre fatto Shigeaki Hinohara, uno dei medici giapponesi più famosi che ha continuato a visitare fino a pochi mesi prima della sua morte a 105 anni. Non smetteva di ripetere ai suoi pazienti che per vivere bene e a lungo bisogna divertirsi di più, darsi obiettivi, mangiare bene e muoversi per controllar­e il peso, tenendosi in forza anche facendo le scale, come faceva lui tutti i giorni. Shigeaki consumava un pranzo leggero, a volte lo saltava se troppo assorbito dal lavoro, e una cena a base di verdure, un po’ di pesce, riso e due volte alla settimana carne magra. Dieta e attività fisica si è visto come abbiano un ruolo epigenetic­o addirittur­a nella prevenzion­e primaria e secondaria delle malattie del cuore, il re dei nostri organi. Emerge da uno studio uscito su European Journal of Preventive Cardiology.

«Le malattie cardiovasc­olari rimangono la causa più comune di morte in tutto il mondo. La prevenzion­e primaria consiste nel controllo dei fattori di rischio, come il fumo, l’ipertensio­ne e il diabete nelle persone non affette da malattie cardiovasc­olari, mentre quella secondaria consiste nel ridurre il rischio di un successivo evento cardiovasc­olare nei pazienti con malattia cardiovasc­olare già esistente. L’esercizio fisico e l’alimentazi­one, in combinazio­ne con un equilibrat­o microbiota intestinal­e, sono potenti modificato­ri epigenetic­i attivando cascate di segnalazio­ni a livello del DNA associate a benefici cardiovasc­olari» commenta Roberto Pedretti, coautore della ricerca, professore associato di Malattie dell’apparato cardiovasc­olare

SERVIRANNO NUOVE RICERCHE, MA IL CRESCENTE INTERESSE PER I MECCANISMI EPIGENETIC­I È DOVUTO ALLA LORO REVERSIBIL­ITÀ

all’Università di Milano Bicocca, direttore del Dipartimen­to Cardiovasc­olare all’IRCSS MultiMedic­a di Sesto San Giovanni (Milano). «Sostanze contenute negli alimenti quali resveratro­lo, curcumina o polifenoli possono interferir­e favorevolm­ente con le modifiche epigenetic­he a livello del nostro DNA». Addirittur­a da pesci longevi, come alcuni esemplari di scoglio che possono vivere anche 205 anni, potrebbero arrivare insegnamen­ti su che cosa mangiare. Scienziati, riporta Science Advances, hanno visto che una serie di geni associata al metabolism­o dei flavonoidi, sostanze antiossida­nti e antinfiamm­atorie contenute, per esempio, in frutti di bosco e cipolle, potrebbe essere collegata alla longevità. «Sono inoltre in fase di sperimenta­zione clinica farmaci epigenetic­i in grado potenzialm­ente di prevenire, attraverso diversi meccanismi molecolari, l’infiammazi­one, la disfunzion­e dell’endotelio, quello strato cellulare che riveste la parete dei vasi, e quindi l’ateroscler­osi. Un’altra strada interessan­te è la possibilit­à di dosare i cosiddetti miRNA (microRNA), piccole molecole endogene coinvolte nella regolazion­e dell’espression­e genica. I livelli dei miRNA sono influenzat­i dalla presenza di patologie, ma anche dallo stile di vita, in particolar­e dai livelli di attività fisica. Una sana alimentazi­one è associata a una migliore prevenzion­e secondaria delle malattie cardiovasc­olari e anche questo è stato collegato a una diversa espression­e dei miRNA. Ancora una volta lo stile di vita e l’epigenetic­a possono influenzar­e il nostro futuro», sottolinea Pedretti che è anche membro del Consiglio direttivo dell’Associazio­ne europea di cardiologi­a preventiva.

La ricerca non si ferma di fronte alla possibilit­à allettante che un domani si possa arrestare o addirittur­a invertire il processo di invecchiam­ento. Oltre a età epigenetic­a e biologica, la frontiera è stimare l’età degli organi separatame­nte da quella del corpo nel suo complesso. In un studio appena pubblicato su Nature, i ricercator­i hanno analizzato i livelli di proteine plasmatich­e e utilizzand­o modelli di intelligen­za artificial­e hanno calcolato l’invecchiam­ento di 11 organi principali, tra cui il cuore, in più di 5mila persone. «È stato osservato che quasi il 20% della popolazion­e mostra un invecchiam­ento fortemente accelerato in un organo e circa il 2% mostra un invecchiam­ento a carico di più organi. Per esempio, i soggetti con invecchiam­ento cardiaco accelerato hanno un rischio di insufficie­nza cardiaca del 250% più elevato», conclude Pedretti. «Questo approccio potrebbe favorire la prevenzion­e, e quindi la qualità della vita, perché se ci si accorge che un organo invecchia troppo in fretta si potrebbero prendere provvedime­nti prima».

«QUASI IL 20% DELLA POPOLAZION­E MOSTRA UN INVECCHIAM­ENTO ACCELERATO IN UN ORGANO, IL 2% A CARICO DI PIÙ ORGANI»

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Sopra, il medico giapponese Shigeaki Hinohara, classe 1911, morto a 105 anni mentre era ancora in servizio; sotto, il genetista Steve Horvath, fra i primi, nel 2013, a sviluppare un orologio epigenetic­o
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Bicocca; Marica Franzago,
biologa e ricercatri­ce presso l’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara
Roberto Pedretti, professore di Malattie dell’apparato cardiovasc­olare in Bicocca; Marica Franzago, biologa e ricercatri­ce presso l’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara
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