LA DONNA CHE SCOPRÌ LA VITA SEGRETA DEGLI SCIMPANZÉ E CAMBIÒ ANCHE GLI UMANI
Etologa e ambientalista, la scienziata inglese compie 90 anni: osservò che i primati sono in grado di creare utensili e di usare piccoli bastoncini per stanare le termini. Prima dei suoi studi si pensava che solo la nostra specie riuscisse a farlo
Compie 90 anni Jane Goodall, etologa e antropologa britannica. A lei vanno gli auguri dell’intera comunità scientifica globale, dove occupa un posto di rilievo anche grazie ai tanti riconoscimenti che ha ricevuto nel tempo. Nel pomeriggio del 2 maggio dovrebbe passare a festeggiare al Bioparco di Roma. A partire dal 1960 i suoi studi condotti in natura sugli scimpanzé presso il parco nazionale di Gombe Stream in Tanzania hanno aperto a una visione dell’etologia e dell’antropologia innovativa e molto produttiva. Questo centro ricerca, poi inserito con successo nel locale tessuto sociale africano, è stato una fucina di talenti etologici. Molti studenti europei e statunitensi, “gestiti” dal noto etologo scozzese Tony Collins, hanno lì trascorso mesi o anni e oggi occupano posizioni di rilievo nel panorama scientifico internazionale. Attratta fin da bambina dall’affascinante continente africano, vi ha ininterrottamente condotto ricerche primatologiche per oltre trenta anni, anche se è rimasta strutturalmente connessa con la comunità scientifica britannica, della quale resterà un membro autorevole ma “irregolare”. La sua attività di scrittrice e le sue affollate conferenze hanno certamente ispirato alla ricerca, in particolare quella avventurosa “in natura”, generazioni di giovani, soprattutto donne. Parecchi anni fa ho avuto l’occasione, presso il Sub-department of animal behavioural all’Università di Cambridge, di sfogliare la sua bellissima tesi di dottorato, che resta un piccolo monumento storico su come ci si possa familiarizzare con primati antropomorfi selvatici grazie a una progressiva loro tolleranza nei confronti dell’osservatore umano. Per la prima volta, scimpanzé liberi venivano seguiti per anni e anni nel loro ambiente naturale: mentre formavano e scioglievano famiglie, i giovani giocavano e si azzuffavano, in un dipanarsi di avvincenti biografie multi-generazionali. La validità, molto solida, dei suoi studi sulla vita sociale e famigliare degli scimpanzé ha aperto una fertile visione, che va molto al di là degli studi primatologici. Non a caso il suo libro L’ombra dell’uomo (Rizzoli, 1974) ha interessato e continua a interessare antropologi, sociologi e numerosi altri studiosi di scienze umane. Il tema del confronto della mente umana con quella delle specie animali dalle quali più direttamente proveniamo è un argomento di estrema attualità e risonanza scientifica. Ma Jane Goodall è stata anche molto di più di una semplice studiosa di comportamento animale. Ha fondato il Jane Goodall Institute (la nota primatologa Elisabetta Visalberghi è attualmente la presidente della sezione italiana) che ha promosso uno stile nuovo nell’approccio ai problemi dell’ambiente con particolare riferimento ai Paesi più poveri del globo. Aspetto ancor più rilevante, Goodall, al fine di proteggere grandi primati antropomorfi nel loro ambiente africano, si è occupata di spiegare l’importanza della loro presenza alle popolazioni umane che non ne comprendevano l’utilità, anche etica. In questo ha fatto molto, aiutando popolazioni economicamente estremamente povere, aprendo uno stile di intervento scientifico che al contempo interessi le popolazioni umane residenti locali, che tuttora rimane un esempio non molto regolarmente imitato. La sua ricerca ha rivelato la complessità dei nuclei famigliari degli scimpanzé e ha smantellato una delle “credenze” più classiche della antropologia del passato, quella secondo la quale solamente la specie umana fosse in grado di forgiare degli utensili. Con il famoso esperimento nel quale osservò gli scimpanzé che adattavano piccoli bastoncini per “pescare” gustose termiti da un termitaio infranse un antico paradigma antropocentrico.