VELIMIR CHLEBNIKOV E LA BELLEZZA CHE NON SALVA IL MONDO
Due anni fa l’invasione russa in Ucraina era all’inizio, e in Italia scandalizzò, giustamente, che allo scrittore Paolo Nori prima venisse impedito di far lezione su Dostoevskij in una università, poi che gli venisse chiesto di applicare la par condicio: parla anche di autori ucraini, non solo russi. L’ondata di indignazione moltiplicò i pani e i pesci: «Dovevo fare quattro lezioni» disse Nori «o ra ne ho in programma 44 in giro per l’Italia». Oggi, centinaia di migliaia di morti e feriti dopo, tra russi e ucraini, quella polemica è lontanissima, e ci ricorda quanto sia malintesa la frase, presa dall’Idiota di Dostoevskij, per cui «la bellezza salverà il mondo». Neanche il sapere, lo salva: di fronte alle vittime di Israele a Gaza dopo l’attentato di Hamas, c’è chi vuole boicottare le università israeliane. Tornando a Nori, in tanti dobbiamo a lui la riscoperta del poeta russo Velimir Chlebnikov, morto nel 1922 a 37 anni. Dopo la Rivoluzione d’ottobre visse come un vagabondo, girando la Russia con un bastone, la Bibbia e un pezzo di pane secco in tasca. Un Napoleone di stracci che si spinse fino in Persia, nel 1921, al seguito dell’Armata Rossa. Non si curava delle sue poesie, che venivano pubblicate da chi restava incantato dalla sua voce. Che oggi come allora punta il dito contro la morte portata dai governanti, anche da quelli che vogliono difenderci.
Per me è molto più piacevole
Guardare le stelle
Che firmare una condanna a morte.
Per me è molto più piacevole
Ascoltare la voce dei fiori
Che sussurrano “É lui“
Chinando la testolina
Quando attraverso il giardino,
Che vedere gli scuri fucili della guardia Uccidere quelli che vogliono uccidere me.
Ecco perché io non sarò mai,
E poi mai,
Un governante.