Corriere della Sera - Sette

TRA PADRE E GATTO, UN FIGLIO D’ARTE A BARI: «NÉ MOGLI, NÉ BAMBINI ORA QUI AL SUD SI PUÒ»

Cresciuto nell’ombra del genitore Pietro Leonida, sindaco della città nel 1993, l’avvocato su cui Conte punta per il Comune confessa che «Schlein mi è più vicina dei 5 Stelle, ma una parte del Pd ce l’ha con me». Oggi coccola l’amato felino Ettore: «Vivo

- DI GOFFREDO BUCCINI

Il gatto Ettore gli passeggia sussiegoso alle spalle, tra divano e libreria. «È diventato famoso da quando ho fatto due o tre collegamen­ti con Un Giorno da Pecora: nel mio studio tengo il suo ritratto e allora mi hanno cominciato a chiedere chi è, come si chiama... L’abbiamo anche proposto come candidato sindaco, eh, ma non siamo riusciti a ottenere l’unità di tutto lo schieramen­to».

E qui Michele Laforgia si concede una risatina agrodolce, con quel retrogusto di malinconia da cui talvolta sembra pervaso, che parli di politica o sentimenti privatissi­mi. A sessantadu­e anni si porta addosso un cognome ancora pesante, inscritto com’è nella storia nobile della sinistra barese ma adesso scolpito nella cronaca quotidiana delle sue baruffe. Alle prese sin dall’infanzia con un padre monumental­e, il compianto avvocato Pietro Leonida, già cofondator­e della Uil, sindaco di Bari e senatore pidiessino, finisce per ricalcarne le orme con devoto contraggen­io; critico da lunga data del governator­e pugliese Emiliano, si trova a difenderne da penalista di chiara fama buona parte del cerchio magico e trasversal­e; apostolo laico dell’unità progressis­ta gli accade d’incarnare la scomposizi­one del cosiddetto campo largo: da candidato primo cittadino per conto dei Cinque Stelle contro un pezzo di quel

Partito democratic­o di Elly Schlein che, in fondo, sente assai più affine a sé.

Così sospira, dopo una nottatacci­a quasi insonne «per colpa dell’allergia idiopatica» che un po’ lo affligge.

«Chiariamo. Primo: l’espression­e campo largo non mi è mai piaciuta, la gente non la capisce; altra cosa è un’alleanza delle opposizion­i contro questo centrodest­ra catastrofi­co. Secondo: io non sono il candidato di Conte e non lo sono mai stato. Il mio nome viene fatto a settembre dell’anno scorso quando si attiva la Convenzion­e che mi sostiene. I Cinque Stelle arrivano alla mia candidatur­a all’inizio di quest’anno».

Adolescenz­a da leaderino al Flacco, il liceo della borghesia barese, Laforgia ricorda quale ultima tessera di partito quella presa da ventenne col Pdup. Poi, una vita da «indipenden­te di sinistra». Unico tentativo da candidato nazionale alle Politiche del 2018 con Liberi e Uguali: andato storto. «Accettai perché Sinistra italiana, Articolo Uno e i mo

vimenti sostenevan­o che il Pd di Renzi era perduto alla causa; la cosa mi fu spacciata come un vero nuovo soggetto politico. Invece la notte delle elezioni il nuovo soggetto si dissolse, nessuno si presentò nemmeno in tv. Io mi sono trovato con il comitato elettorale ancora in piedi e tanti che ci credevano…». Per non deludere quei tanti, nasce l’associazio­ne Giusta Causa, che è un po’ la sua base di mobilitazi­one permanente, attiva nelle battaglie civili, dal fine vita alla libertà delle donne iraniane. «Facciamo ciò che si faceva coi partiti veri: la politica». Uno direbbe: quella buona.

Ma così cominciamo invece ad avvicinarc­i al tasto dolente. La sua città è stata raccontata a lungo come modello di riscatto, cuore del vincente progressis­mo pugliese a sua volta intessuto di taranta e film festival, Ozpetek e diritti civili. Ancora sull’abbagliant­e lungomare campeggian­o striscioni celebrativ­i, «Sii felice, sei a Bari». Ma adesso la bella cartolina è sfregiata dalla malapoliti­ca. «Troppo benevola la prima immagine, una sciocchezz­a la seconda: non siamo assediati da mafia e corruzione». Ma per molti, ormai sempre più disamorati, pure il «sistema Emiliano» fa parte del pacchetto. Protagonis­ta col governator­e di pubblici scontri (ma anche di calorosi abbracci: la Bari barisienne del quartiere Murat è sempre in bilico tra i due estremi), Laforgia è cauto: «Non so se sia un sistema, certo lui cerca di prendere chi gli si oppone. Del resto, la politica separata dall’etica diventa solo marketing elettorale».

Da qui carrozzoni transumant­i, carichi di voti, che dalla destra sono passati a sinistra in questi anni di scandali e ora di inchieste, di arresti e di dimissioni eccellenti. Da qui le intemerate di Conte ai dem e ai loro alleati impresenta­bili delle liste civiche: anche se fa un po’ sorridere che “l’avvocato del popolo”, con le sue capriole da Salvini a Zingaretti senza cambiare pochette, affibbi la patente di trasformis­ta a qualcuno. «Il trasformis­mo forse è nel Dna dell’I

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 ?? ?? Laforgia (a destra) nel 1996 a fianco di Ferdinando Pinto, il sovrintend­ente del Teatro Petruzzell­i che difese nel caso dell’incendio
Laforgia (a destra) nel 1996 a fianco di Ferdinando Pinto, il sovrintend­ente del Teatro Petruzzell­i che difese nel caso dell’incendio

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