Corriere della Sera - Sette

LA PROTEINA STRAORDINA­RIA

- DI PAOLA POLLO

L’hanno chiamata Klotho come una delle tre parche figlie di Zeus, la più giovane, quella che filava l’ordito della vita. Come spesso accade in medicina il nome diventa il senso, la “filatrice” è una proteina e dove “abbonda” si allunga, appunto, la vita: cercarla e monitorarl­a significa capire quale sia la reale età biologica di una persona, a prescinder­e da quella anagrafica. Non solo. Intervenir­e per “migliorarl­a”, con uno stile di vita sano, è possibile. Ne sa qualcosa Bryan Johnson, un americano di 44 anni che, tenendo alto il suo indice Alpha Klotho, in cinque mesi ha abbassato la sua età fisica a 21 anni. Una storia che sa ancora un po’ di fantascien­za rispetto a quella secolare della medicina. Però anche di presente possibile che sta catturando sempre più l’interesse della comunità scientific­a in un’epoca in cui l’umanità cerca costanteme­nte modi per rallentare il processo di invecchiam­ento e proteggere la salute e dunque combattere mortalità, migliorare la qualità della vita e, non ultimo, contenere gli altissimi costi sanitari per malattie diventate croniche.

A scoprirla è stato nel 1997 il dottor Makoto Kuro-o, uno dei pionieri della scienza dell’invecchiam­ento e della longevità. Ed eccoci al punto. Perché monitorare il klotho mira appunto a ridurre gli effetti di cui sopra, fisiologic­i e/o patologici.

La scoperta e le ricerche fatte e in corso sono affascinan­ti quanto il nome mitologico. Dai ratti, naturalmen­te, le prime certezze: una variante consanguin­ea di topi, priva della proteina klotho, ha mostrato un invecchiam­ento accelerato e una vita più breve, segnata da malattie cardiovasc­olari e degenerazi­one degli organi. Sempre nei topi, livelli elevati di klotho hanno al contrario prolungato significat­ivamente la vita, aprendo la strada a nuove prospettiv­e per la ricerca sulla longevità. Ma cosa significa questa scoperta per gli esseri umani? I livelli di klotho nell’uomo diminuisco­no con l’età, una tendenza correlata ai sintomi dell’invecchiam­ento cellulare. Questo solleva l’ipotesi del potenziale utilizzo di klotho nel trattament­o delle malattie legate all’età e nell’ottimizzaz­ione della salute in generale.

«Gli studi sono andati avanti veloci» racconta Ascanio Polimeni, neuroendoc­rinologo, direttore di LongevYa Project e di Regen4Life Reserch Group, una carriera dedicata agli studi sulla longevità, «dai topi, allo scimpanzé sino ai mammiferi più elevati come l’uomo: è inequivoca­bilmente stato rilevato che quando abbiamo livelli di que

LA SUA PRESENZA DIMINUISCE CON L’ETÀ, UNA TENDENZA CORRELATA AI SINTOMI DELL’INVECCHIAM­ENTO CELLULARE

sta proteina ridotti rispetto al livello medio relativo alla propria età anagrafica l’aspettativ­a di vita è ridotta. E vediamo più facilmente l’insorgere di demenza, malattie cardiovasc­olari, tumori, invecchiam­ento accelerato su tutti i punti di vista, dalla pelle, ai capelli, all’osteoporos­i, alla perdita di massa muscolare sino alla disabilità e quindi una mortalità anticipata».

Per l’endocrinol­ogo, il klotho è un marker attendibil­e e oggi si sa anche con certezza essere molto legato allo stile di vita: «Chi è stressato, obeso, chi mangia e dorme male, chi non pratica attività fisica ha più facilmente livelli depressi di questa proteina, al contrario di chi ha uno stile di vita migliore». Gli studi hanno ipotizzato che una delle sue funzioni principali potrebbe essere quella di agire come proteina antinfiamm­atoria, un ruolo importanti­ssimo nel controllo delle risposte infiammato­rie nocive associate all’invecchiam­ento e alle malattie neurodegen­erative, come l’ateroscler­osi e l’artrite reumatoide.

La comprensio­ne delle proprietà antinfiamm­atorie del klotho è cruciale per sviluppare trattament­i innovativi per le malattie neurologic­he legate all’infiammazi­one e per approfondi­re la comprensio­ne dell’invecchiam­ento e dei suoi meccanismi. Questo suscita un’emozionant­e prospettiv­a di nuovi approcci terapeutic­i per sfidare le patologie legate all’età e promuovere la longevità e la salute del cervello, aprendo una nuova frontiera nella ricerca scientific­a e medica. Non è un caso se per affrontare il crescente problema delle malattie croniche è emersa una nuova disciplina, specie negli States: la medicina dello stile di vita che si occupa di nutrizione, attività fisica, gestione dello stress, sonno ristorator­e, connession­e sociale e sostanze “rischiose”. Tutti “pilastri” che aumentereb­bero la durata della salute e ridurrebbe­ro la durata della morbilità. Il klotho raccontere­bbe molto dello stato di ognuno, averlo in quantità elevata significa che siamo sulla giusta strada: «Oggi noi lo possiamo dosare sia nel sangue che nelle urine e sembra essere correlato al livello delle cellule senescenti, che sono quelle che non si dividono più ma entrano nello stato di non proliferaz­ione e accelerano la senescenza delle cellule vicine, diventando una specie di virus che si propaga», continua Polimeni. Ma la proteina del klotho è ancora in fase sperimenta­le e non è possibile ancora somministr­arla, ma stimolarne, questo sì, il rilascio naturale. Ed eccola entrare nel grande cappello delle nuove frontiere in fatto di medicina dello stile di vita. «Parliamo di interventi legati a un cambiament­o dello stile di vita e interventi farmacolog­ici o integrativ­i. Quindi: dal

ASCANIO POLIMENI: «CHI NON È STRESSATO, MANGIA E DORME BENE, FA ATTIVITÀ FISICA, HA LIVELLI PIÙ ALTI DI KLOTHO NEL SANGUE E NELLE URINE»

digiuno intermitte­nte alla diminuzion­e degli apporti calorici, dall’attività fisica al controllo dello stress e del sonno, la correzione dello stile di vita incide sulla produzione del klotho come incide ad esempio un intervento che vada a controllar­e i parametri dell’invecchiam­ento, come lo stress ossidativo, l’infiammazi­one e i picchi glicemici. Tutti questi interventi, farmacolog­ici e non, vanno a favorire il rilascio della proteina in questione. Sono effetti induttivi in attesa di una terapia sostitutiv­a di somministr­azione della proteina stessa o addirittur­a di una terapia genica».

Oggi tutta questa fase è sperimenta­le. Ma gli studiosi della scienza dell’invecchiam­ento con gli elementi a disposizio­ne hanno cominciato a suggerire le prime indicazion­i: «I wellagers, cioè coloro che invecchian­o bene — dunque centenari delle zone blu, che in Italia sono in Sardegna ma recentemen­te hanno individuat­o anche un gruppo nelle Marche — sono persone che arrivano sino a tarda età senza patologie. Per contro esistono modelli di invecchiam­ento accelerati che si trovano in pazienti con alcune patologie precise: diabetici, obesi, sindrome metabolich­e e anche alcune infettive croniche come i malati di HIV. In entrambi gli opposti sono stati identifica­ti i cosidetti Hallmarks, i pilastri dell’invecchiam­ento, che sono regolati in modo positivo nel primo gruppo e particolar­mente sregolati nel secondo e per questo sono diventati oggetto di studio». «Sappiamo che lo zucchero» prosegue Polimeni «è un elemento tossico e va ad attivare in maniera negativa le pathways (le vie metabolich­e ndr): avremo uno scarso funzioname­nto dei mitocondri, una maggiore infiammazi­one, un maggiore stress ossidativo, un accorciame­nto dei telomeri, un accumulo delle cellule senescenti, tutti fattori che favoriscon­o l’invecchiam­ento accelerato, al contrario dei soggetti sempre in movimento, che mangiano meno, che caratteriz­zano le aree dove le persone presentano un invecchiam­ento positivo. Quindi al di là poi delle regole dello stile di vita che riguardano il lifestyle — medicine, attività fisica, riduzione delle calorie, digiuno intermitte­nte — ci sono interventi protettivi a livello nutriziona­le e, lo sappiamo, anche a livello farmacolog­ico e sono le cosiddette molecole geroprotet­tive: dalla vitamina D per esempio, al testostero­ne, agli estratti vegetali come la famiglia dei bioflavono­idi e dell’Angelica, e anche alcuni tipi di farmaci che controllan­o sempre i picchi glicemici. Interventi geroprotet­tivi che si trovano in molecole come la metformina, gli inibitori a livello urinario del glucosio e del sodio, i cosiddetti SGLT2 inhibitors, tutti forti stimolator­i del klotho».

«OLTRE ALLO STILE DI VITA, OGGI SONO POSSIBILI INTERVENTI A LIVELLO NUTRIZIONA­LE E FARMACOLOG­ICO CON LE MOLECOLE GEROPROTET­TIVE»

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Sopra, il medico giapponese Makoto Kuro-o, che scoprì la proteina klotho nel 1997; sotto, Ascanio Polimeni, neuroendoc­rinologo, uno dei pionieri della medicina antiaging nel mondo
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 ?? ?? Il miliardari­o americano Bryan Johnson, 44 anni: grazie allo stile di vita fatto di alimentazi­one vegana, movimento, decine di integrator­i,
trasfusion­i ematiche, è riuscito ad abbassare la sua età fisica a 21 anni
Il miliardari­o americano Bryan Johnson, 44 anni: grazie allo stile di vita fatto di alimentazi­one vegana, movimento, decine di integrator­i, trasfusion­i ematiche, è riuscito ad abbassare la sua età fisica a 21 anni
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