MEGLIO PREPARARSI A SUPERARE LE CRISI EVITARLE È PIÙ FATICOSO
È quasi impossibile, soprattutto per i singoli, sottrarsi a certi choc economici globali. Così “resilienza” – la capacità di incassare il colpo, senza subirne le conseguenze, quindi deviandone la forza vettoriale – è la sola via d’uscita, soprattutto nell
Markus K. Brunnermeier, classe 1969, è un economista di origine tedesca, che insegna all’Università di Princeton (Usa). In qualità di Edwards S. Sanford Professor dirige il Bendheim Center for Finance di Princeton ed è sposato con Smita Bhatnagar, anch’essa docente di economia. I suoi studi si concentrano sulla macroeconomia e sui mercati finanziari internazionali, interessandosi soprattutto dei fenomeni delle bolle e delle nuove monete digitali. Il suo libro La società resiliente (il Mulino) ha vinto il Best German Business Book Prize ed è stato inserito dal Financial Times tra i migliori libri di economia del 2021.
Grazie all’esposizione piana e facilmente comprensibile dei complessi meccanismi dell’economia, Brunnermeier riesce a spiegare come la resilienza possa offrire buone opportunità e valide forme di difesa dalla crisi. Non è tanto utile a evitare i rischi, quanto a riconoscere da quali rischi sia possibile risollevarsi: quasi una lettura in chiave economica della Società del rischio di Ulrich Beck (Carocci, 2015).
Tuttavia, dal momento che, come sappiamo, per il singolo individuo è impossibile sottrarsi ai rischi economici, da cui dipendono molte delle incertezze che complicano la vita quotidiana, sarebbe opportuno agevolare tutte quelle pratiche che consentono di aumentare la resilienza di ogni società. Soprattutto nelle società aperte. Infatti la resilienza — ritiene Brunnermeier, con una certa dose di ottimismo — può rivelarsi utile a combattere le autocrazie.
Perché resilienza? Il termine è entrato solo di recente nel linguaggio comune ed è divenuto subito virale. Si è imposto soprattutto dopo la pandemia, al punto da essere un must ineludibile: oggi non si può fare a meno di essere resilienti.
Viene dal latino “resilio”, iterativo di “salio” (salire), cioè risalire con forza, ad esempio su un’imbarcazione. È una voce tecnica usata per indicare la capacità di un metallo di resistere a una forza senza rompersi. Successivamente ha assunto un significato sociale ben più ampio, in riferimento alla capacità umana di fronteggiare momenti negativi o di adeguarsi a un mutamento senza esserne travolti.
Nel caso della resilienza umana, infatti, invece di assorbire il disturbo e in qualche modo metabolizzarlo, “resiste” all’urto, lo fa rimbalzare, deviandone la forza vettoriale che sarebbe distruttiva e, allo stesso tempo, la sfrutta a proprio vantaggio. Scopo della resilienza è proprio quello di incassare il colpo senza subirne le conseguenze. Sue caratteristiche specifiche sono: l’ottimismo, l’autostima, la robustezza psicologica, le emozioni positive, il supporto sociale (anche se solo in rete).
Se è vero che le società liquide vivono per il presente, è dunque necessaria una buona dose di resilienza, vissuta senza alcun vittimismo, liberandosi dell’immobilismo e reagendo con intelligenza. L’importante è riuscire a trarre energia dallo stress causato dal disagio.
Stop alla fragilità e alla vulnerabilità di fronte alle incertezze e all’assenza di prospettive: è necessario rinvenire un che di positivo nel presente.
Non si tratta di accontentarsi, ma di «vivere della crisi», come suggerisce Edgar Morin in Per una teoria della crisi (Armando, 2021). E per vivere di crisi, bisogna imparare a cavalcarla, trarre energia da eventi solo in apparenza negativi. Fin qui il lato più “debole” della resilienza, che invece può rivelare il suo volto positivo se la trasferiamo nel campo dell’economia. Professor Brunnermeier, perché si è parlato così tanto di resilienza solo dopo il Covid-19?
«Il Covid-19 ha messo in discussione l’approccio alla gestione del rischio e ha dimostrato che alcuni rischi sono molto difficili da evitare. Durante il Covid non esisteva un’opzione sicura. Più in generale, in circostanze simili è più saggio sviluppare una strategia su come riprendersi al meglio dopo uno choc negativo. Questo richiede che le persone siano agili e si preparino nel modo giusto al momento in cui subiranno lo choc. Prima dello choc, si può investire in flessibilità in modo da riuscire a evitarlo più facilmente. È importante cercare di evitare assolutamente quei rischi da cui non c’è ritorno. Certe trappole presentano rischi di questo tipo. Ma i punti critici sono ancora peggiori. Dopo aver raggiunto un punto critico, può innescarsi un ciclo di feedback negativo che peggiora sempre di più la situazione».
Un esempio di scarsa resilienza?
«Durante la crisi dovuta alla pandemia le interruzioni della catena di approvvigionamenti hanno evidenziato la scarsa resilienza delle nostre catene globali del valore. D’altra parte, il semplice re-shoring (il rientro delle imprese delocalizzate all’estero) di ogni tipo di produzione sarebbe troppo costoso. Meglio investire nella resilienza, ad esempio attraverso il multi-sourcing, cioè prevedendo l’importazione di beni non da un solo Paese, ma da più Paesi. Questa sembra essere la strategia di resilienza migliore nel contesto delle catene internazionali del valore».
Nel suo libro, La società resiliente, si parla delle “esternalità”. Può spiegare di che cosa si tratta?
«Le esternalità o effetti esterni si verificano quando l’azione di qualcuno ha un impatto su qualcun altro. Le esternalità ambientali sono un classico esempio di esternalità negative. Ciò che produciamo potrebbe inquinare l’ambiente e quindi avere un impatto negativo sugli altri. Spesso un contratto bilaterale tra due parti può avere un impatto negativo anche su una terza parte. Le esternalità sono onnipresenti».
Un capitolo del suo libro è dedicato a resilienza e contratto sociale. Un argomento che rientra più nella sociologia che nell’economia. Perché lo ritiene così importante ai fini di evitare le crisi?
«Non viviamo da soli e tutte le nostre azioni provocano un impatto sugli altri, cioè causano “esternalità” sugli altri. Dobbiamo quindi avere chiaro ciò che le persone possono fare e ciò che non possono fare. Il contratto sociale regola il modo in cui possiamo vivere insieme. Molti aspetti sono regolati dalla legge, altri dalle interazioni di mercato, ma la maggior parte di essi è regolata da norme sociali a cui aderiamo. A differenza di altri semplici contratti tra due persone, non firmiamo questo contratto, ma semplicemente vi nasciamo dentro. Affinché una società nel suo complesso sia resiliente, è importante che lo sia anche il suo contratto sociale, divenendo una sorta di assicurazione fra le persone, uno scudo collettivo su cui rimbalzano le crisi».
E poi c’è la disuguaglianza. Siamo tutti consapevoli che è in continuo aumento, e non solo negli Stati Uniti, al punto da essere diventata uno dei maggiori problemi sociali. Cosa può fare la resilienza per combattere la disuguaglianza?
«Esistono molteplici forme di disuguaglianza. Ad esempio, le persone possono avere livelli di reddito diversi. Possono riuscire ad accumulare ricchezze differenti. Certi individui possono persino distinguersi in termini di resilienza. Ad esempio, qualcuno può riprendersi facilmente da uno choc negativo, mentre un altro non vi riesce. È interessante notare che queste forme di disuguaglianza possono essere collegate. Se una persona è più resiliente, allora saprà cogliere certe occasioni di rischio di cui l’altra persona non può approfittare. Come sappiamo, la capacità di cogliere le varie opportunità porta in media a ottenere un reddito più elevato. E un reddito più elevato, se continuativo nel tempo, porta a sua volta ad accumulare una ricchezza maggiore. In questo senso, dunque, l’uguaglianza della resilienza può essere causa della disuguaglianza di reddito e, in ultima analisi, di ricchezza. La disuguaglianza della resilienza può anche essere collegata alla misura della povertà. Si può dire che una persona è davvero povera se deve temere costantemente ogni piccolo choc negativo e quindi tenersi per forza lontana dalle opportunità di rischio».