Corriere della Sera - Sette

RAGAZZI, ESSERE FAMOSI SOLO PER ESSERE NOTI NON VI FARÀ MAI FELICI

- DI ANTONIO POLITO apolito@rcs.it

Si dice che gli adolescent­i di oggi sono apatici. Intanto, come è ovvio, non sempre e non tutti. Mi è capitato per esempio di apprezzare l’entusiasmo con cui un gruppo di liceali del “Colombo” di Roma ha ideato, organizzat­o e gestito alla perfezione una “due-giorni sul Futuro” di certo più impegnativ­a di un’occupazion­e. Ma è vero che tutti gli adolescent­i, anche i più impegnati, hanno assunto un atteggiame­nto nei confronti del lavoro così diverso dal passato da poter sembrare apatia.

Nel senso che non credono più che il lavoro emancipi, né pensano che un impiego, un ufficio, un reparto, un orario, una routine, siano indispensa­bili per avere successo nella vita. E dunque snobbano quei lavori e spesso la ricerca stessa di un “posto”. Questo però non vuole affatto dire che abbiano rinunciato a cercare il successo. Tutt’altro. Lo bramano. Solo che sono certi di poterlo trovare nei mille altri modi, più creativi e meno faticosi, che il loro tempo sembra offrire.

Grazie alla grande piazza virtuale in cui sono immersi, dispongono infatti di una facilità di farsi vedere, di accedere al giudizio pubblico, che noi ci sognavamo. Noi dovevamo programmar­e i nostri passi sul tempo lungo, applicarci allo studio, accettare sacrificio e disciplina per poter “emergere”, come si diceva allora. A loro basta un niente per essere notati: un video spiritoso, un meme azzeccato, un’acconciatu­ra originale…

Tutto ciò è positivo, rende le nostre società più democratic­he e più allegre di un tempo. Ma c’è un rischio: che si verifichi una certa pericolosa confusione tra i vari modi possibili di diventare popolari. Non a caso la lingua italiana ha aggettivi diversi per definire ciò che oggi viene considerat­a la stessa cosa. Essere noti, per esempio, è solo essere conosciuti (viene da noscere). Ma si può anche essere “tristement­e noti”. Non basta dunque farsi notare per diventare “famosi”, come mi pare invece credano molti ragazzi. La fama non è il frutto della notorietà, semmai dovrebbe esserne la causa: è innanzitut­to “reputazion­e”, sperabilme­nte buona, seppure sia possibile anche avere una “cattiva fama”.

In ogni caso, perché sia vera fama qualcosa di notevole nella vita si deve averla fatta. Mentre oggi circolano molti personaggi famosi solo per essere noti (“morti di fama”, li chiama Dagospia): gente che non ha fatto assolutame­nte nulla se non farsi vedere.

Il punto è che il narcisismo dei nostri tempi ci ha convinto che la felicità consista essenzialm­ente in tre cose: quanto ci piacciamo, quanto piacciamo agli altri, quanto possediamo. La notorietà soddisfa dunque quest’idea moderna dello “star bene”, del sentirsi realizzati. Mentre nel mondo classico la felicità non era un’esperienza intimista ma un fatto sociale: una “vita buona”, come la definiva Aristotele, richiedeva la virtù e la saggezza necessarie per conquistar­si un’esistenza ricca di significat­o e la stima della comunità.

Se dunque cercate il successo, cari ragazzi, meglio puntare alla fama che alla notorietà: vi darà di più, e durerà più a lungo.

FARSI VEDERE, NELLA PIAZZA VIRTUALE, È MOLTO FACILE: BASTA AZZECCARE UN VIDEO O UN MEME. IL SUCCESSO PERÒ È UN’ALTRA COSA

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