RAGAZZI, ESSERE FAMOSI SOLO PER ESSERE NOTI NON VI FARÀ MAI FELICI
Si dice che gli adolescenti di oggi sono apatici. Intanto, come è ovvio, non sempre e non tutti. Mi è capitato per esempio di apprezzare l’entusiasmo con cui un gruppo di liceali del “Colombo” di Roma ha ideato, organizzato e gestito alla perfezione una “due-giorni sul Futuro” di certo più impegnativa di un’occupazione. Ma è vero che tutti gli adolescenti, anche i più impegnati, hanno assunto un atteggiamento nei confronti del lavoro così diverso dal passato da poter sembrare apatia.
Nel senso che non credono più che il lavoro emancipi, né pensano che un impiego, un ufficio, un reparto, un orario, una routine, siano indispensabili per avere successo nella vita. E dunque snobbano quei lavori e spesso la ricerca stessa di un “posto”. Questo però non vuole affatto dire che abbiano rinunciato a cercare il successo. Tutt’altro. Lo bramano. Solo che sono certi di poterlo trovare nei mille altri modi, più creativi e meno faticosi, che il loro tempo sembra offrire.
Grazie alla grande piazza virtuale in cui sono immersi, dispongono infatti di una facilità di farsi vedere, di accedere al giudizio pubblico, che noi ci sognavamo. Noi dovevamo programmare i nostri passi sul tempo lungo, applicarci allo studio, accettare sacrificio e disciplina per poter “emergere”, come si diceva allora. A loro basta un niente per essere notati: un video spiritoso, un meme azzeccato, un’acconciatura originale…
Tutto ciò è positivo, rende le nostre società più democratiche e più allegre di un tempo. Ma c’è un rischio: che si verifichi una certa pericolosa confusione tra i vari modi possibili di diventare popolari. Non a caso la lingua italiana ha aggettivi diversi per definire ciò che oggi viene considerata la stessa cosa. Essere noti, per esempio, è solo essere conosciuti (viene da noscere). Ma si può anche essere “tristemente noti”. Non basta dunque farsi notare per diventare “famosi”, come mi pare invece credano molti ragazzi. La fama non è il frutto della notorietà, semmai dovrebbe esserne la causa: è innanzitutto “reputazione”, sperabilmente buona, seppure sia possibile anche avere una “cattiva fama”.
In ogni caso, perché sia vera fama qualcosa di notevole nella vita si deve averla fatta. Mentre oggi circolano molti personaggi famosi solo per essere noti (“morti di fama”, li chiama Dagospia): gente che non ha fatto assolutamente nulla se non farsi vedere.
Il punto è che il narcisismo dei nostri tempi ci ha convinto che la felicità consista essenzialmente in tre cose: quanto ci piacciamo, quanto piacciamo agli altri, quanto possediamo. La notorietà soddisfa dunque quest’idea moderna dello “star bene”, del sentirsi realizzati. Mentre nel mondo classico la felicità non era un’esperienza intimista ma un fatto sociale: una “vita buona”, come la definiva Aristotele, richiedeva la virtù e la saggezza necessarie per conquistarsi un’esistenza ricca di significato e la stima della comunità.
Se dunque cercate il successo, cari ragazzi, meglio puntare alla fama che alla notorietà: vi darà di più, e durerà più a lungo.
FARSI VEDERE, NELLA PIAZZA VIRTUALE, È MOLTO FACILE: BASTA AZZECCARE UN VIDEO O UN MEME. IL SUCCESSO PERÒ È UN’ALTRA COSA