MODIFICARE IL NOSTRO DNA E ADATTARCI ALLA CRISI CLIMATICA PERCHÉ NO?
Tra tutte le innovazioni degli ultimi anni, l’editing genetico, la possibilità di modificare il nostro Dna, è quello che potrebbe cambiare le nostre vite nel modo più radicale. Il problema è se e fino a che punto siamo consapevoli della rivoluzione che potrebbe compiersi. In linea di principio, in effetti, di dubbi non dovrebbero essercene; e discuterne potrebbe sembrare inutile – i soliti filosofi che si divertono a spaccare il capello in quattro su tutto. In fondo, una delle ragioni principali che condusse allo sviluppo di questa tecnica è la possibilità di correggere difetti genetici che saranno causa di dolorosissime malattie negli anni a venire. Qualcuno può contestare la bontà di un intervento che potrà evitare tanto dolore? Nessuno, si spera. Ma ci sono limiti a questi interventi, in particolare quando questa tecnica dovesse iniziare a essere commercializzata, e chi li dovrebbe decidere?
Jürgen Habermas è stato uno dei primi a sollevare simili domande, osservando che queste modificazioni genetiche prenatali rischiano di mettere a repentaglio la libertà costitutiva degli esseri umani. Venendo meno quel carattere “imprevisto” che sempre si accompagna a una nascita umana, non viene meno anche un aspetto decisivo della nostra esistenza? Fino a che punto è lecito che altri intervengano preventivamente decidendo cosa sarà bene o male per noi? Insomma, fino a che questi interventi sono terapeutici si potrebbe anche concordare. Ma dove gli interventi sono solo migliorativi – perché potenziano ad esempio le nostre capacità fisiche o mentali – il rischio è che cambi la nostra concezione stessa di quello che sono l’essere umano e la sua esistenza.
Ma perché questo dovrebbe essere un male? In tempi recenti non sono mancati i difensori della posizione opposta. Tra gli altri Ingmar Persson e Julian Savulescu hanno osservato che non c’è niente di male in simili interventi migliorativi se contribuiscono a un maggior benessere e felicità. E questo, a maggior ragione, quando consideriamo la nostra storia. Grazie a Darwin sappiamo oggi che siamo il prodotto di una selezione biologica casuale. Non siamo esseri perfetti: siamo in continua evoluzione, in una relazione di adattamento con l’ambiente che ci circonda. Perché non favorire allora cambiamenti che ci rendano più preparati rispetto alle sfide in arrivo? Così, per fare un esempio provocatorio: la selezione naturale finora ha favorito comportamenti che portavano a vivere in piccoli gruppi focalizzati sul proprio interesse. Di fronte al cambiamento climatico – diventa più chiaro ogni giorno – questi comportamenti rischiano di condurre a risultati catastrofici. Avendone la possibilità non sarebbe allora un nostro preciso dovere morale intervenire, così da favorire lo sviluppo di esseri provvisti di caratteristiche comunitarie più adatte alla situazione presente? È uno scenario che appare inquietante, a prima vista. Fino a che punto lo è? Se pensiamo alle generazioni future, che erediterebbero un mondo meno disastrato, non lo sarebbe per nulla. Il dibattito continua.
E mentre il dibattito continua, viene voglia di osservare che forse la filosofia, e con lei tutti gli altri saperi umanistici, tanto inutili non sono se ci aiutano a comprendere meglio i problemi con cui abbiamo a che fare. Perché tutti sono in cerca di risposte. Ma non meno importante è imparare a porre le domande giuste.
L’EDITING GENETICO, CHE SECONDO HABERMAS METTE A RISCHIO LA LIBERTÀ, POTREBBE ESSERE INTERPRETATO COME DOVERE MORALE