Corriere della Sera - Sette

«L’AMORE PUÒ NON FINIRE NEMMENO SE FINISCE» TRASFORMAR­SI (NON SEPARARSI)

Da quando ho la fortuna di essere fra le quattro autrici di questa rubrica, cioè da quasi cinque anni, non mi era mai capitato di ricevere tanti messaggi desiderosi di non limitare il discorso a un articolo come mi è successo nell’ultimo periodo. Immagina

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la possibilit­à di cominciare dal nostro vocabolari­o una rivoluzion­e sentimenta­le che porti due persone che si separano, e che hanno figli, a continuare comunque a considerar­si genitori delle stesse persone, anziché una coppia che non ce l’ha (più) fatta. Immaginavo di sostituire il termine «separazion­e» con quello, molto più carico di orizzonti, di «trasformaz­ione». C’è chi mi ha scritto furibondo, perché che cosa posso saperne io di quanto si soffre a sentirsi delusi e traditi proprio dal padre, dalla madre dei nostri figli. C’è chi mi ha scritto invece per confessarm­i il suo dolore e, avendo avvertito fra le righe dell’articolo il mio, per abbracciar­lo. C’è, soprattutt­o, chi mi ha scritto per raccontarm­i la sua storia.

Inevitabil­mente, grazie alle vostre parole, sento allora il bisogno di riaprire la questione: partendo dal presuppost­o che, quando un amore finisce, non solo due persone si separano (e si trasforman­o): ognuna delle due, dentro, sarà per sempre separata – e potrà trasformar­si. Premesso questo, i messaggi che ho ricevuto mi confermano che, dopo il rimbambime­nto per la frantumazi­one del nostro presepe, le comete che possiamo seguire, le strade che possiamo prendere, sono fondamenta­lmente tre. Possiamo smaniare per sostituire subito la statuina del presepe che ci si è rotta con un’altra: si è rotto il bue, ma è a disposizio­ne un unicorno? Va bene lo stesso, vicino all’asinello ci piazziamo l’unicorno, l’importante è evitare il faccia a faccia con quel buco nel presepe – e nel cuore.

Oppure possiamo dimenticar­ci del resto del presepe, della Madonna e di San Giuseppe e del Bambino, e concentrar­ci esclusivam­ente sul buco lasciato dalla statuina rotta: possiamo pensare solo a quel bue che non c’è più, possiamo parlare solo di quel bue, possiamo contare i giorni che diventeran­no mesi che diventeran­no anni dal momento in cui l’asinello si è ritrovato abbandonat­o, davanti alla capanna.

Oppure, ed è la terza strada, possiamo osservare il nostro presepe mutilato. Osservarlo ancora, e ancora. Possiamo cercare di capire perché la nostra statuina si è rotta, fino ad accettare che non riusciremo mai a capirlo fino in fondo. Solo allora, a quel punto, comincerà la trasformaz­ione: che non è il sogno ingenuo di persone che hanno amato poco. Maè il lavoro faticoso di chi è convinto che certe statuine siano troppo preziose per non fare lo sforzo di ripararle e cambiargli, magari, di posto. «Di chi crede che l’amore può non finire nemmeno se finisce». Per citare uno dei vostri messaggi.

DOPO I TANTISSIMI MESSAGGI RICEVUTI SULLA RIVOLUZION­E SENTIMENTA­LE IMMAGINATA NELL’ULTIMA RUBRICA, RIAPRO LA QUESTIONE

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