GIANNI BAGET BOZZO
PRETE SPRETATO, ADORÒ CRAXI E BERLUSCONI ISPIRATO IN POLITICA «DALLA VOCE DI DIO»
Ho due cognomi perché sono nato bastardo». Si presentava così Gianni Baget Bozzo, prete a tratti spretato, con tonaca e senza tonaca, ma sempre circondato da passione politica e aura di grande intelletto, devoto a un suo percorso trasformista che soltanto gli inetti, a suo dire, potevano definire da voltagabbana. «È emozionante la grande avventura donchisciottesca di Gianni Baget Bozzo, mezzo catalano (Baget) e mezzo genovese (Bozzo), bastardo mediterraneo di purissimo candore e di inaudita intelligenza» così l’ha salutato un’altra mente affine, Giuliano Ferrara, affascinato dalla velocità di pensiero del sacerdote, che proprio per la sua mente sopraffina negli Anni 80/90 del Novecento aveva conosciuto una notevole fama mediatica, inusuale ai tempi per un uomo di Chiesa.
Dichiaratore disponibile e molto cortese nell’era in cui il “dice dice” (asserzioni brevi e a largo spettro ideologico) cominciava a spopolare prima sui settimanali e poi sui quotidiani, facendo la fortuna di molti intellettuali e politici. Quando rispondeva a una sollecitazione o a una domanda don Gianni partiva con indomita capacità dialettica e affabulatoria che lo portava ad affastellare le parole una sull’altra, nella fatica di tenersi attaccato a quel flusso mentale che lo dominava e che andava veloce. Riceveva nelle spoglie sale della casa forse di famiglia in una zona chic di Genova, a Carignano, lo sguardo acceso e febbrile mentre parlava con disarmante convinzione. E non distinguevi se quel pensiero sofferente, di sicuro originale e talvolta controcorrente, era frutto del sovrapporsi di pensieri che marciavano più veloci della parola, o se era la parola – quella che lui chiamava la
Voce – che cercava di esprimersi attraverso di lui.
Figlio di una ragazza madre catalana e di un sergente dell’Aeronautica, era stato cresciuto e adottato da una coppia di zii da cui prese il cognome, padre spirituale il severo e temuto cardinale Siri, suo professore al liceo, poi vescovo di Genova. Baget Bozzo incrocia la Resistenza, poi De Gasperi, la neonata Dc di Taviani, diventa in seguito seguace di Dossetti, che abbandona per Fanfani e La Pira, s’infatua di Tambroni, dei radicali, di Craxi e infine di Berlusconi. Un contraddire e contraddirsi nel segno della Voce provvidenziale che lo guidava nelle tortuosità della storia,
e si spera che gli terrà compagnia nell’eterno.
Della Voce che avrebbe ispirato le numerose giravolte aveva parlato nel 2004 con Claudio Sabelli Fioretti che lo incalzava su Sette per la serie sui voltagabbana: «Voltagabbana è colui che fa queste cose perché ha interessi materiali. Io ci ho sempre rimesso. Tutte le cose che ho fatto quando ho cambiato fronte mi sono costate lacrime e sangue». In realtà si muoveva fra religione, ideologia e politica mosso solo da una bussola: «Ero un patriota cattolico, la Chiesa era la mia vera patria» come ha scritto in una voce autobiografica che Ferrara gli aveva chiesto per Panorama nel 1997: titolo Consacrato alla politica.
E sulla Voce che gli dettava dentro si era intrattenuto anche in un imperdibile incontro con Enrico Lucci che era andato a trovarlo nella casa di via Corsica a Genova per Le Iene, dal quale si capisce che le apparenti contraddizioni affondano solo in una profonda esperienza mistica. Lei ha detto che fra il 1956 e il 1958 il Signore la ispirò a combattere la sinistra, chiede un Lucci inginocchiato ai piedi della poltrona blu dove don Gianni affonda il corpo ormai anziano, appoggiando la testa su un centrino di pizzo bianco. Lui chiude l’occhio febbrile e restando a lungo così risponde: «Sì, la locuzione mi disse di andare contro l’apertura a sinistra, in anticipo sulle intuizioni che poi saranno di Berlusconi». La locuzione? chiede Lucci. «Sì, la parola di Dio che mi arrivava ovunque, anche al cinema. Magari mentre vedevo un western».
Locuzioni che poi avrebbero ispirato le svolte e gli innamoramenti mistici seguenti: «Diceva, restando serio, di sentire le voci dello Spirito Santo, che lo guidava nel suo zig-zag politico e gli suggeriva concetti del tipo: “Craxi è come Cristo sul Calvario” o “Berlusconi è l’Uomo della Provvidenza”». Lo ha ritratto così Marco Travaglio in un irriverente necrologio: capace, dunque, di (quasi) blasfeme interpolazioni fra religione e politica, concepite sempre al riparo della Voce. «Alla fine capii che i comunisti non cambiano mai. Forse il Pds era peggio del Pci perché i comunisti avevano un ideale, la rivoluzione, i postcomunisti sono freddi pragmatici che puntano solo al potere». Ha lasciato alla sua morte (l’8 maggio 2009) un’eredità contesa fra alcuni parenti da una parte e amici e un medico geriatra dall’altra, come una star: un tesoretto frutto anche questo del suo ingegno, dovuto ai diritti d’autore dei suoi numerosi libri.