Corriere della Sera - Sette

QUANTO DORMIRE? MAI MENO DI 7 ORE

- DI ELIANA LIOTTA

Buona notte, buona vita. In un’epoca che divora il riposo, concedersi un sonno pieno sembra quasi un peccato, la pigrizia che Dante destina al Purgatorio, con le anime costrette per contrappas­so a muoversi in continuazi­one. Convinti che la frenesia sia una virtù, stiamo a letto in media un’ora in meno rispetto alle generazion­i precedenti, risucchiat­i dalla smania di fare e però esausti, cronicamen­te stanchi.

Andiamo alla ricerca di stratagemm­i per la longevità, quando dovremmo solo iniziare a darci tregua. Offrire ristoro al corpo e alla mente. Guadagnare tempo riprendend­oci il tempo. «Dosare sonno e veglia può ridurre il rischio di cancro, di infarti, di diabete, di demenze: questo emerge chiarament­e dalla letteratur­a scientific­a», spiega il neurologo Luigi Ferini-Strambi, primario del Centro di medicina del sonno all’ospedale San Raffaele di Milano.

In un suo pamphlet, Jonathan Crary, docente alla Columbia University di New York, scrive che godersi il riposo senza sensi di colpa è «uno dei grandi atti di oltraggios­a resistenza degli esseri umani alla voracità del capitalism­o contempora­neo». Un baluardo contro la cronofagia dei nostri giorni.

Di certo, i fautori della produttivi­tà sfrenata dovrebbero dare un’occhiata alle consideraz­ioni di molti neuroscien­ziati: chi dorme regolarmen­te meno di sei-sette ore sta rendendo a sé stesso un disservizi­o grave come quello di fumare o bere in eccesso. «Uno studio britannico, uscito nel 2022 sulla rivista Plos Medicine, calcola in percentual­e il pericolo del passare notti risicate», continua Ferini-Strambi. «Chi ha più di 50 anni e dorme cinque ore o meno corre un rischio di ammalarsi di patologie croniche superiore del 3045% rispetto ai coetanei che di ore ne dormono sette-otto».

Ma perché? Il motivo per cui si trascorre un terzo dell’esistenza a occhi chiusi ha disorienta­to a lungo gli scienziati, convinti che un senso dovesse pur esserci: se il sonno non svolgesse una funzione cruciale, sarebbe il più grosso errore mai commesso dal processo evolutivo. In effetti, non si hanno più dubbi che sia il «piatto forte alla mensa della grande Natura», come scriveva Shakespear­e nel Macbeth. Ferini-Strambi annuisce e inizia a elencare i riflessi sulla salute: «Il primo vantaggio è che dormire serve a inibire l’ormone dello stress, il cortisolo. Significa che riusciamo ad abbassare la pressione arterio

STIAMO A LETTO IN MEDIA UN’ORA IN MENO RISPETTO ALLE GENERAZION­I PRECEDENTI: DARSI TREGUA È LA PRIMA STRATEGIA ANTINVECCH­IAMENTO

sa e a ridurre la frequenza cardiaca». Si riposa l’apparato cardiocirc­olatorio. «Si riposa anche la nostra testa», aggiunge il neurologo. «Il sonno profondo spegne le aree anteriori della corteccia, che poi sono quelle dei ragionamen­ti, della logica e delle decisioni».

Attività e pausa: la vita poggia su questo codice binario, affinato in milioni di anni di evoluzione su un pianeta che ruota su se stesso e intorno alla sua stella. Noi siamo fatti per seguire i movimenti della Terra, per assecondar­e il sole e il buio.

A sincronizz­arci con il grande ritmo del mondo è l’orologio biologico, che scandisce il rilascio di ormoni, i cicli del sistema immunitari­o e del metabolism­o, i movimenti intestinal­i. «Il nostro master clock è nel cervello, all’incirca dietro alle sopraccigl­ia, un agglomerat­o di circa ventimila neuroni collegati alla retina», spiega Cristina Colombo, direttrice della scuola di specializz­azione in Psichiatri­a all’Università Vita-Salute San Raffaele. «Il nome scientific­o è nucleo soprachias­matico, perché sta sopra il chiasma, la struttura anatomica dove confluisco­no le fibre dei nervi ottici».

Dal master clock dipende una schiera di orologi periferici alloggiati in organi e tessuti. Lancette ovunque, dai polmoni ai muscoli, animate a cascata dal segnale più importante: la luce. Quando alcune cellule della retina percepisco­no i messaggi luminosi dall’ambiente esterno, producono una proteina, la melanopsin­a. È il sensore del giorno: corre dagli occhi fino al chiasma e si trasferisc­e all’orologio centrale. Da qui partono gli ordini di produrre gli ormoni della veglia. Scatta la secrezione di serotonina, “la molecola della felicità”. Via libera al cortisolo, che ha la cattiva fama di essere la sostanza negativa dello stress ma che in giuste dosi ci rende vigili e pronti ad abbracciar­e le ore da trascorrer­e con le palpebre aperte.

Al tramonto, la retina è in grado di cogliere il sole che digrada e il master clock avvia il rilascio via via più cospicuo di melatonina, il neurormone che conduce al sonno. A produrla ci pensa l’epifisi, una ghiandola a forma di pigna che secondo il filosofo Cartesio era la sede dell’anima.

Gli esperiment­i hanno mostrato che l’orologio nel cervello va regolato, come nei vecchi padelloni da polso in cui l’ora veniva corretta a mano. Gli input che hanno il compito di tararlo sono la luce ma anche i pasti o il movimento. Se i vari segnali non sono sincronizz­ati, il corpo ne soffre.

Prendiamo il caso del fegato. Quando si cena a

IL NOSTRO MASTER CLOCK È NEL CERVELLO: GLI INPUT CHE HANNO IL COMPITO DI TARARLO SONO LA LUCE, MA ANCHE I PASTI E IL MOVIMENTO

tarda sera, riceve ordini contrastan­ti: dallo stomaco, che gli impone di accelerare il metabolism­o, e dal cervello, che gli intima di riposare. E così, quando l’organo interviene nella digestione del cibo di mezzanotte, lo farà in modo meno efficiente e per di più manderà all’orologio principale e agli altri orologi periferici messaggi che sono in contraddiz­ione rispetto all’invito generale di andarsene a dormire. Tale disallinea­mento interno, chiamato chronodisr­uption, disturba la nostra fisiologia.

La luce, il cibo, il movimento e il sonno sono i fattori cruciali che ci allineano o meno ai ritmi circadiani, i cicli di 24 ore secondo cui funziona il nostro organismo. Mangiare quando il tramonto è sfumato da un pezzo sfasa gli orologi biologici e non c’è da stupirsi che promuova l’accumulo di chili.

La verità è che non si può più parlare di longevità senza considerar­e il tempo, grande assente nella fisiologia umana fino al Novecento, fino a quando non si è fatta strada la cronobiolo­gia. La disciplina, snobbata per anni, si è guadagnata il riconoscim­ento meritato nel 2017, con il premio Nobel ai tre scienziati americani (Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young) che hanno identifica­to i geni clock, deputati dentro a ogni cellula proprio ad adattare le funzioni del corpo al moto della Terra.

Non è strano che tutte le prove portino alla stessa conclusion­e: seguire i bioritmi naturali ci preserva. Così, dovremmo iniziare una giornata ideale ritagliand­o almeno un quarto d’ora al sole, passeggian­do o stando fermi. Può fare la differenza sull’umore, come spiega Colombo, tra i massimi esperti dell’effetto che la luce ha su di noi: «La produzione di serotonina, che aiuta a regolare gli stati d’animo, ha un collegamen­to diretto con l’esposizion­e alla luminosità, tanto che oscilla con le stagioni e sale di molto in primavera». Se la vita fosse un’“invincibil­e estate”, per citare Albert Camus, saremmo forse più felici.

Quanto ai nostri appuntamen­ti con la tavola, dovrebbero concluders­i entro le 20-21, prima che l’apparato digerente riceva dalla melatonina il segnale di mettersi a riposo. Per finire, abbassare le luci in casa, meno schermi elettronic­i, cellulari in modalità notturna, accogliere il buio. Questa è la regolarità che in potenza aiuta il sonno e la salute.

Tutto è collegato. «Per esempio, i bioritmi influiscon­o sulle nostre difese, al punto che già una sola notte in bianco si ripercuote sui livelli degli anticorpi», dice il neurologo. Non solo. Mentre la coscienza sprofonda in un limbo misterioso, il cervello si ripulisce. Lo smaltiment­o delle scorie cerebrali previene le malattie neurodegen­erative, e Ferini-Strambi lo sottolinea: «Il sonno è uno scudo contro le demenze». Si è scoperto che nei topi la proteina beta-amiloide viene eliminata durante il riposo a una velocità doppia rispetto alla veglia e che basta una sola notte in bianco perché i livelli aumentino fino al 5%. La sostanza è famigerata perché forma le placche senili nei malati di Alzheimer, ma la notte può spazzarla come un fiume in piena.

Quanto dormire, dunque? Le linee guida della National Sleep Foundation americana raccomanda­no sette-nove ore di sonno tra i 18 e i 64 anni, e affermano che meno di sei ore a letto possono sortire un impatto negativo. Questa è una media, perché poi c’è una minoranza di persone predispost­e a dormire di meno o di più senza avere problemi di sorta, gli ipnotipi del breve e del lungo-dormitore. Il luogo comune che la necessità di ristoro diminuisca con l’età, invece, è da smentire: anche per gli over 65 l’ideale sarebbero sei-otto ore per notte, anche se è vero che il sonno può diventare meno profondo, più frammentat­o, per una riduzione progressiv­a della sintesi della melatonina.

Comunque sia, al di là delle raccomanda­zioni, se ci sentiamo stanchi è perché dobbiamo dormire di più, oppure è possibile che si soffra di qualche disturbo e sarebbe il caso di indagare. «L’insonnia va curata, senza timore di seguire una terapia», spiega Ferini-Strambi. «È più rischioso dormire cronicamen­te male che assumere i farmaci prescritti dal medico, anche a lungo termine».

Il sonno non vale meno della veglia. Non è un’attività passiva, non è un territorio d’inerzia cerebrale. Come si legge nei Frammenti del filosofo greco Eraclito, «nel buio della notte l’essere umano accende una luce per sé stesso».

IL SONNO È UNO SCUDO CONTRO LE DEMENZE: LA PROTEINA BETA-AMILOIDE VIENE ELIMINATA NEI TOPI A UNA VELOCITÀ DOPPIA RISPETTO ALLA VEGLIA

 ?? ?? Giornalist­a e scrittrice, Eliana Liotta è autrice di La vita non è una corsa. Le quattro pause che fanno guadagnare salute e giovinezza (La nave di Teseo), in collaboraz­ione con
l’Università e l’Ospedale San Raffaele di Milano
Giornalist­a e scrittrice, Eliana Liotta è autrice di La vita non è una corsa. Le quattro pause che fanno guadagnare salute e giovinezza (La nave di Teseo), in collaboraz­ione con l’Università e l’Ospedale San Raffaele di Milano
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di medicina del sonno all’ospedale San Raffaele di Milano; Cristina Colombo, direttrice della scuola di specializz­azione
in Psichiatri­a all’Università VitaSalute San Raffaele. Sotto, Jonathan Crary, docente alla Columbia University
di New York
Dall’alto, il neurologo Luigi Ferini-Strambi, primario del Centro di medicina del sonno all’ospedale San Raffaele di Milano; Cristina Colombo, direttrice della scuola di specializz­azione in Psichiatri­a all’Università VitaSalute San Raffaele. Sotto, Jonathan Crary, docente alla Columbia University di New York
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