HA INTEGRATO, NON DIVISO COSÌ L’IMPERO ROMANO HA TENUTO FINO AL 1922
Mary Beard, storica e ellenista a Cambridge, ha appena pubblicato un nuovo libro. S’intitola Emperor of Rome (sicuramente verrà presto tradotto anche in italiano) e tratta con acume e intelligenza di quello che il titolo annuncia: degli imperatori romani; di quelli grandi, Augusto o Adriano per esempio, e di quelli meno grandi, come Caligola o Eliogabalo. Racconta delle loro vite e di come era organizzato l’impero; di battaglie decisive e aneddoti illuminanti. È un bel libro indubbiamente. Ma è anche un’occasione perduta. Per una ragione così scontata che nessuno la considera. Quando è finito l’Impero Romano?
La risposta è una di quelle che si studiano a scuola e che quasi tutti ricordano: nel 476 d.C., con la deposizione di Romolo Augusto. Ma è una risposta sbagliata. In quell’anno non finì proprio nulla: semplicemente il glorioso Impero Romano perdeva una parte consistente dei suoi territori a Occidente. Ma la parte più sana e importante dell’Impero, a Oriente, prosperava intatta e integra. E avrebbe continuato a farlo per almeno (almeno) altri 1000 anni, fino al 1453 d. C. Di questo periodo, però, il libro di Mary Beard non parla (e non è naturalmente la sola, anzi). La ragione è semplice. Noi siamo abituati a un altro racconto: c’era Roma, poi sono arrivati i barbari, fino a che Carlo Magno ha rilanciato l’idea imperiale (Il Sacro Romano Impero), e intanto sulle coste orientali del Mediterraneo i Bizantini (non i Romani!) combattevano faticosamente contro gli Arabi. Noi siamo abituati così. Ma siamo abituati male – è come se scrivendo una storia d’Italia ci fermassimo a Giolitti. L’Impero Romano – ormai l’Impero di lingua greca e fede cristiana ortodossa dei Romei (Romaioi in greco) – continuò a prosperare, con sorti alterne, almeno fino al 1453, quando Maometto II riuscì finalmente a entrare a Costantinopoli. E non finisce qui, peraltro.
Entrato a Costantinopoli, Maometto II si affrettò infatti ad aggiungere ai suoi titoli anche quello di Imperatore dei Romani. Del resto, gli Ottomani erano i discendenti dei Troiani, spiegavano gli eruditi del tempo: proprio come il fondatore di Roma, Enea. E infatti autorevoli giuristi del tempo, su tutti Jean Bodin, si affrettarono a confermare che era proprio così: gli Ottomani erano i legittimi eredi dell’Impero Romano, che sarebbe dunque finito solo nel 1922, quando nacque la moderna Turchia. Quindi l’Impero Romano è stato anche turco e musulmano? Mentre noi, che ci proclamiamo così orgogliosamente romani, saremmo in realtà gli eredi di quei barbari che contro l’Impero hanno combattuto? Così si è creduto a lungo in Europa (fino al XIX secolo, quando l’Europa ha iniziato a chiudersi su sé stessa).
Forse sono soltanto inutili puntualizzazioni da storico. Ma almeno ci aiutano a dubitare delle appropriazioni troppo entusiastiche di un passato fatto a nostro uso e consumo – ad esempio la continua celebrazione del legame inscindibile (fatale si diceva al tempo del fascismo) tra Roma e il popolo italiano. Anche solo come esperimento mentale, proviamo piuttosto a pensare a un altro scenario (più corretto storicamente, peraltro): che cosa ci racconterebbe questa storia comune che ha attraversato il Mediterraneo nei secoli? E se l’eredità più duratura di quell’impero fosse stata quella di promuovere unità e integrazione, e non divisioni?
NEL 476 D. C. NON FINÌ, PERSE SOLTANTO L’OCCIDENTE. A ORIENTE CONTINUÒ A PROSPERARE SINO AGLI OTTOMANI, SUOI LEGITTIMI EREDI