Corriere della Sera - Sette

LE TRAGEDIE DI AIACE E FEDRA PER CAPIRE COME NELLA MISERIA RISPLENDA LA NOSTRA GRANDEZZA

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Gli eroi sono giovani e belli. Lo cantava Guccini, e lo pensano tutti. Per questo si perdona ad Achille, anche quando si comporta come una «bestia» (l’espression­e è di Christa Wolf). Per questo neppure Priamo, il re di Troia, riesce ad arrabbiars­i con Elena – e sì che la città andrà distrutta per colpa sua. Poi ci sono gli altri: gli eroi disperati, perdenti, che commettono errori imperdonab­ili, e si coprono di ridicolo o di orrore, o di tutti e due insieme. Sono quelli che rovinano tutto quanto hanno faticosame­nte costruito: Aiace, sempre pronto a sacrificar­si per gli altri, che dagli altri viene scaricato e non riesce a farsene una ragione. Ippolito, illuso che alla giovinezza si conceda tutto. Teseo, il padre che non capisce il figlio o Fedra, che non riesce a controllar­e le sue passioni – qualcuno capisce i figli, qualcuno riesce a controllar­e le proprie passioni? Sono i protagonis­ti della nuova stagione teatrale di Siracusa. Sono come noi.

L’Aiace di Sofocle si apre con una scena di desolazion­e (anche quest’anno le scenografi­e sono spettacola­ri). Sul palcosceni­co ci sono le prove della mattanza compiuta da Aiace. Gli hanno negato le armi di Achille – sono state consegnate a Ulisse, che sa solo tramare, ma in battaglia non si vede mai. Aiace non può perdonare l’affronto: chi c’era quando tutto sembrava perduto e i Troiani stavano per sfondare? In preda all’odio, ucciderà i capi dell’esercito acheo, quegli ingrati che gli hanno voltato le spalle. Atena però non lo permette: lo avvolge in una cupa follia e Aiace massacra buoi e pecore al posto dei suoi nemici. È la scena di sangue che accoglie lo spettatore. A breve Aiace ritornerà in sé, il suo sguardo si poserà su tutto questo strazio e sarà perso, sommerso nel disonore e nell’accusa di tradimento.

Anche a Fedra, in Fedra, Ippolito portatore di corona di Euripide, era bastato uno sguardo per perdersi. Quante volte lo aveva visto, gli era stata accanto? Ma un giorno, mentre partecipav­ano a un

AL TEATRO GRECO DI SIRACUSA, L’EROE DI SOFOCLE, SEMPRE PRONTO A SACRIFICAR­SI PER GLI ALTRI, DAGLI ALTRI È SCARICATO

rito religioso, Afrodite aveva deciso e Fedra era caduta preda dell’amore impossibil­e per il figliastro Ippolito. Un tormento sordo, impossibil­e da sopportare, impossibil­e da tenere nascosto – che andava tenuto nascosto, però. La nutrice, compagna fedele, nel maldestro tentativo di aiutarla, lo aveva rivelato proprio a Ippolito. E cosa restava da fare a Fedra, dopo aver ascoltato il giovane che la malediceva? («Che cos’è quella cosa che chiamano amore?», chiede alla nutrice: «La cosa più dolce, figlia mia, e la più dolorosa». «Io ne conosco soltanto il dolore»)

Intanto sul teatro di Siracusa cala il buio: il sole è tramontato, le nuvole corrono sinistre nel cielo, le stelle tardano a comparire. Quel piccolo palcosceni­co su cui gli attori si muovono, parlano e gridano diventa grande come il mondo, contiene tutte le nostre vicende e le nostre passioni, mentre precipita nell’universo oscuro, immenso che ci circonda. Non c’è altro – non c’è bisogno di altro. Perché qualcosa di decisivo sta per accadere.

Aiace è morto, si è suicidato: cosa fare del suo cadavere? E come giudicare Fedra, che in un disperato tentativo di salvare il proprio onore, prima di togliersi a sua volta la vita, calunnia Ippolito, accusandol­o di averle fatto violenza? È solo vendetta o una sconvolgen­te affermazio­ne in morte di quello che le era stato negato da viva? Teseo le crede, e maledice il figlio, cacciandol­o in esilio. Ippolito grida la sua innocenza: che gli dèi lo uccidano se si è macchiato di una colpa tanto disgustosa. Gli dèi lo uccidono. Ma mica perché sia colpevole – cosa importa agli dèi dei proclami degli umani. È il momento della svolta, quando gli dèi arrivano sulla scena.

Artemide spiega a un Teseo sempre più sgomento che non ha capito niente, quando ha invocato gli dèi perché punissero il figlio: e il risultato è la morte di un innocente. O meglio: Ippolito è innocente della colpa di cui Fedra lo accusa, ma colpevole perché ha mancato di rispetto ad Afrodite – per questo ha pagato, e pazienza se anche Fedra e Teseo ne subiscono le conseguenz­e. Anche Aiace credeva di non avere bisogno degli dèi («Chiunque può coprirsi di gloria con l’aiuto degli dèi; io voglio riuscirci da solo», aveva osato affermare, nella bella traduzione di Walter Lapini), e per questo è stato umiliato. È tutto diverso da come sembra, perché siamo parte di un insieme più vasto ed enigmatico. Siamo come burattini mossi da potenze che ci sovrastano, dentro e fuori di noi. Viviamo in una realtà complicata, sfuggente. Cerchiamo di mettere insieme i pezzi così da comprender­e la trama. Ma la trama cambia di continuo e noi rimaniamo sempre indietro. Questo ci insegnano le due tragedie, che sembrano diverse e invece raccontano la stessa storia (bisogna fare i compliment­i a chi ha avuto l’intuizione di farle rappresent­are insieme). Siamo ben poca cosa. Ma è proprio nel momento in cui ci riconoscia­mo nella nostra miseria che risplende la nostra grandezza.

Non capiamo niente, ma dobbiamo agire; agiamo e sbagliamo. E sbagliando finalmente comprendia­mo. La vicinanza nel dolore, il perdono, la pietà. C’è nobiltà nella nostra pochezza. Ulisse compare in scena e spiega ad Agamennone che bisogna rispettare il cadavere di Aiace. Ippolito, prima di esalare l’ultimo respiro, trova parole di conforto per il padre disperato, in un momento di altissima poesia. Il teatro esplode in un applauso incontenib­ile, anche se la tragedia non è ancora finita: mancano tre versi, tutto sommato inutili (chissà perché le tragedie più belle finiscono sempre con versi tirati via). Il messaggio è chiaro. Gli dèi e il destino potranno fare di noi quello che vogliono, ma non riuscirann­o mai a capire quell’impasto di miseria e grandezza che sono le nostre vite. Questa volta abbiamo vinto noi.

EURIPIDE RACCONTA DI UNA DONNA CHE PER SALVARE L’ONORE NON ESITA A CALUNNIARE UN INNOCENTE. POI SI UCCIDE

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dall’Aiace di Sofocle, che ha aperto al Teatro Greco di Siracusa la stagione del Teatro Antico
AIACE Un’immagine dall’Aiace di Sofocle, che ha aperto al Teatro Greco di Siracusa la stagione del Teatro Antico
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 ?? ?? FEDRA Alessandro Albertin (Teseo) stringe Riccardo Livermore (Ippolito) nella Fedra, Ippolito portatore di corona di Euripide
FEDRA Alessandro Albertin (Teseo) stringe Riccardo Livermore (Ippolito) nella Fedra, Ippolito portatore di corona di Euripide

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