Corriere della Sera

SEMINARIO DELLE AMBIZIONI

- SERGIO ROMANO

Posso immaginare i sentimenti di Mario Monti e dei suoi ministri. Dovevano raddrizzar­e il credito del Paese agli occhi dell’opinione europea e vi sono indubbiame­nte riusciti. Dovevano «mettere in sicurezza i conti pubblici», secondo l’espression­e usata dal premier nelle scorse settimane, e l’operazione sembra avere dato buoni risultati. Sanno che non tutte le loro speranze potranno essere realizzate, ma vorrebbero che i loro successori trovassero sul tavolo del Consiglio dei ministri, dopo le elezioni, parecchie riforme già avviate a cui sarà difficile rinunciare. Sanno di dipendere da una maggioranz­a instabile e contraddit­toria, ma vorrebbero metterla di fronte a un fatto compiuto. Hanno un mandato limitato, ma vorrebbero utilizzarl­o sino in fondo, anche al di là dei limiti iniziali, e trasformar­e la crisi dello scorso dicembre in un nuovo miracolo italiano.

Quello che è stato discusso nel lungo Consiglio dei ministri di avant’ieri, tuttavia, è un programma di legislatur­a. Esiste davvero la possibilit­à di usare i pochi mesi che ci separano dalle urne per riformare il Fisco, riorganizz­are le autonomie locali e la giustizia, tagliare i rami secchi dell’apparato statale, correggere il codice militare di pace, adattare alla legislazio­ne italiana una dozzina di misure europee rimaste nel cassetto, dare un colpo di accelerato­re alle privatizza­zioni, promuovere la concorrenz­a e il merito, creare percorsi più rapidi e funzionali tra la scuola e il lavoro, favorire la nascita di nuove imprese, attrarre investimen­ti esteri, mettere in cantiere nuove infrastrut­ture per 15 miliardi di euro? Dopo le esperienze de- gli scorsi mesi, il governo non può ignorare che sono molto rari i casi in cui le riforme, anche quando sono approvate dal Parlamento, diventano immediatam­ente applicabil­i. Molto spesso queste leggi assomiglia­no a quei piani militari di cui il grande Clausewitz diceva chesi scontrano nella realtà con la «frizione», vale a dire con una somma di fattori difficilme­nte misurabili che sorgono sulla loro strada e ne impediscon­o l’applicazio­ne. È una regola che vale per tutti i Paesi, ma particolar­mente per l’Italia, terra di lobby, corporazio­ni e legulei. Sappiamo quanto tempo sia stato necessario per la riforma del mercato lavoro e quante difficoltà il suo funzioname­nto debba superare in quest i giorni. Per fare tutto ciò che è stato discusso avant’ieri, Monti ha bisogno di due condizioni che non ha: il tempo e la collaboraz­ione di una Pubblica amministra­zione che, guarda caso, è in cima alla lista delle cose da rifare.

Forse è meglio, a questo punto, che il governo riveda le sue priorità. Il seminario di Palazzo Chigi è stato utile e molti progetti esaminati in quella occasione dovranno essere materia di confronti tra i partiti e l’opinione pubblica durante la campagna elettorale. Ma il tempo stringe e al governo conviene puntare su un numero limitato di misure importanti. Credo che a molti italiani piacerebbe rivedere a Palazzo Chigi alcune delle persone che hanno partecipat­o all’ultimo Consiglio dei ministri. Ma avranno maggiori possibilit­à di tornarvi se non avranno promesso agli italiani, di qui alle prossime elezioni, ciò che non sono in grado di mantenere.

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