SEMINARIO DELLE AMBIZIONI
Posso immaginare i sentimenti di Mario Monti e dei suoi ministri. Dovevano raddrizzare il credito del Paese agli occhi dell’opinione europea e vi sono indubbiamente riusciti. Dovevano «mettere in sicurezza i conti pubblici», secondo l’espressione usata dal premier nelle scorse settimane, e l’operazione sembra avere dato buoni risultati. Sanno che non tutte le loro speranze potranno essere realizzate, ma vorrebbero che i loro successori trovassero sul tavolo del Consiglio dei ministri, dopo le elezioni, parecchie riforme già avviate a cui sarà difficile rinunciare. Sanno di dipendere da una maggioranza instabile e contraddittoria, ma vorrebbero metterla di fronte a un fatto compiuto. Hanno un mandato limitato, ma vorrebbero utilizzarlo sino in fondo, anche al di là dei limiti iniziali, e trasformare la crisi dello scorso dicembre in un nuovo miracolo italiano.
Quello che è stato discusso nel lungo Consiglio dei ministri di avant’ieri, tuttavia, è un programma di legislatura. Esiste davvero la possibilità di usare i pochi mesi che ci separano dalle urne per riformare il Fisco, riorganizzare le autonomie locali e la giustizia, tagliare i rami secchi dell’apparato statale, correggere il codice militare di pace, adattare alla legislazione italiana una dozzina di misure europee rimaste nel cassetto, dare un colpo di acceleratore alle privatizzazioni, promuovere la concorrenza e il merito, creare percorsi più rapidi e funzionali tra la scuola e il lavoro, favorire la nascita di nuove imprese, attrarre investimenti esteri, mettere in cantiere nuove infrastrutture per 15 miliardi di euro? Dopo le esperienze de- gli scorsi mesi, il governo non può ignorare che sono molto rari i casi in cui le riforme, anche quando sono approvate dal Parlamento, diventano immediatamente applicabili. Molto spesso queste leggi assomigliano a quei piani militari di cui il grande Clausewitz diceva chesi scontrano nella realtà con la «frizione», vale a dire con una somma di fattori difficilmente misurabili che sorgono sulla loro strada e ne impediscono l’applicazione. È una regola che vale per tutti i Paesi, ma particolarmente per l’Italia, terra di lobby, corporazioni e legulei. Sappiamo quanto tempo sia stato necessario per la riforma del mercato lavoro e quante difficoltà il suo funzionamento debba superare in quest i giorni. Per fare tutto ciò che è stato discusso avant’ieri, Monti ha bisogno di due condizioni che non ha: il tempo e la collaborazione di una Pubblica amministrazione che, guarda caso, è in cima alla lista delle cose da rifare.
Forse è meglio, a questo punto, che il governo riveda le sue priorità. Il seminario di Palazzo Chigi è stato utile e molti progetti esaminati in quella occasione dovranno essere materia di confronti tra i partiti e l’opinione pubblica durante la campagna elettorale. Ma il tempo stringe e al governo conviene puntare su un numero limitato di misure importanti. Credo che a molti italiani piacerebbe rivedere a Palazzo Chigi alcune delle persone che hanno partecipato all’ultimo Consiglio dei ministri. Ma avranno maggiori possibilità di tornarvi se non avranno promesso agli italiani, di qui alle prossime elezioni, ciò che non sono in grado di mantenere.