Corriere della Sera

Lavoro, i contratti a rischio

L’agenda di Palazzo Chigi per la crescita agita i partiti

- LORENZO SALVIA

Il nodo dei contratti a rischio. Inchiesta del Corriere: gli effetti della legge Fornero su precari, partite Iva, lavoratori atipici. Il piano per la crescita agita partiti e sindacati. Elogi dalle imprese.

ROMA — Ha poco più di un mese di vita, è entrata in vigore il 18 luglio. Un tempo breve, caduto per di più nel cuore dell’estate, quando tutto rallenta e la gran parte delle decisioni viene rinviata a settembre. Eppure si vedono già i primi effetti della riforma del mercato del lavoro. Sia negativi, come la difficoltà di rinnovare i contratti a termine, sia positivi, come la decisione presa da alcune aziende di stabilizza­re i precari. Nei piani del governo quei quattro lunghissim­i articoli dovrebbero aiutare i giovani a trovare un’occupazion­e, impresa non facile visto che sotto i 24 anni è senza lavoro un italiano su tre. E allo stesso tempo costruire un argine contro la cosiddetta «flessibili­tà cattiva», quella selva di 40 tipi diversi di contratto che in molti casi ha trasformat­o una sacrosanta esigenza del sistema produttivo nel problema numero uno di una generazion­e intera. Dalla flessibili­tà alla flessibili­tà cattiva, appunto, e quindi alla precarietà.

Per questo la riforma Fornero è stata costruita con l’obiettivo di frenare i contratti a termine, quelli di collaboraz­ione, le p a r t i t e I v a e t u t t e q u e l l e f o r ma d i precarietà che l’anno scorso hanno coper-

Per «flessibili­tà cattiva» si intende quella selva di 40 tipi diversi di contratto che di fatto portano alla precarietà

to quasi 7 assunzioni su dieci. Indicando come principale canale d’ingresso l’apprendist­ato, un misto fra lavoro e studio che impegna l’azienda a formare un giovane ottenendo in cambio un generoso taglio dei contributi da pagare. Il passaggio non è semplice. Perché è vero che la riforma dovrebbe favorire la crescita, parola magica contenuta anche nel titolo della legge. Ma purtroppo è vero anche il contrario: senza crescita, senza l’economia che gira, è difficile spingere un imprendito­re ad assumere. Sia a termine che con un contratto stabile, sia ad agosto che a settembre.

Il primo nodo è venuto al pettine da «mamma Rai». Più di un terzo delle persone che lavorano nei programmi di intratteni­mento e approfondi­mento sono a partita Iva. Più di due mila persone, molte delle quali andrebbero regolarizz­ate, visto che la riforma fa scattare l’assunzione se l’80% del reddito arriva dalla stessa azienda e sarebbe quindi da considerar­e un dipendente mascherato. L’azienda studia la possibilit­à di assumerli sì, ma con contratti a termine. E loro, gli «esterni» Rai, sono pronti a fare causa.

Anche perché i contratti a termine sono un approdo ancora meno sicuro che in passato. Dice la riforma che il primo non può durare più di un anno e non è prorogabil­e, anche se è stato eliminato l’obbligo di indicarne la motivazion­e. E poi sono state allungate le pause tra un contratto e l’altro, fino a 90 giorni. Ed è qui il vero problema. Perché, almeno per il momento, a venire galla non è tanto la trasformaz­ione dei vecchi contratti a termine in qualcosa di più stabile. Ma, più sempliceme­nte, la difficoltà a rinnovare quelli esistenti. Un problema che sta emergendo in mondi fra loro anche lontani, dai patronati all’Aspen Institute Italia, dalle compagnie aeree, dove ormai i cassintegr­ati sono più numerosi dei lavoratori a termine, fino alle case editrici.

In quest’ultimo settore, avverte Massimo Cestaro, segretario della Slc Cgil, il «rischio è che tutti i contratti a termine vengano trasformat­i in partite Iva. Torneremmo indietro, insomma. E forse sarebbe stato meglio prevedere una maggiore gradualità». Chi la gradualità se l’è presa da solo è il settore simbolo del precariato, quello dei call center. Qui il problema non riguarda gli operatori che ricevono le chiamate, quasi tutti stabilizza­ti nel 2007, ma le società che fanno vendita o marketing, quasi 40 mila lavoratori. «Proprio nelle ultime settimane prima dell’approvazio­ne della legge — racconta Michele Azzola, anche lui Cgil — quasi tutte le società hanno prorogato di tre o sei mesi i contatti in essere». È successo a Taranto, a Rende, è successo ovunque. Hanno preso tempo ma il problema è solo rinviato: cosa faranno tra ottobre e dicembre quando anche le proroghe arriverann­o a scadenza?

C’è poi il «blocco» dei contratti a progetto denunciato dai consulenti del lavo- ro con un sondaggio a campione pubblicato nei giorni scorsi da Italia oggi. È vero che la riforma ha cercato di semplifica­re un sistema «troppo interpreta­bile», come disse lo stesso Mario Monti, e proprio questo minor margine di manovra può non piacere ad alcuni consulenti. Ma anche il loro allarme è un segnale.

Ci sono anche casi virtuosi, però. Primo fra tutti quello della Golden Lady, l’azienda mantovana che produce calze. Il 18 luglio, appena due giorni dopo l’entrata in vigore della riforma, l’azienda ha firmato un accordo con i sindacati che prevede l’assunzione a tempo indetermin­ato, entro un anno, di 1.200 persone che oggi lavorano nei negozi come associati in partecipaz­ione. Si tratta di un contratto flessibile che può nascondere un rappor-

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