Corriere della Sera

LA CITTÀ DELLE DONNE SFIGURATE PER UN NO

Bruciate con l’acido da mariti gelosi o fidanzati respinti Viaggio a Satkhira, il villaggio-ghetto del Bangladesh

- di ETTORE MO

Il volto bruciato con l’acido da mariti gelosi o fidanzati respinti. Satkhira, la città-ghetto del Bangladesh delle donne sfigurate per aver detto di no. Secondo una ricerca, nell’ultimo decennio sarebbero state almeno 450 all’anno le vittime dell’acido.

Durante una visita al Dhaka Medical College and Hospital, l’ospedale maggiore della capitale, ci dà il benvenuto una paziente di 21 anni, Helena, sulla cui pelle, dopo un violento alterco col marito, la vampa bollente dell’acido ha lasciato una ragnatela indelebile di lividi e cicatrici. Al fratello che ogni settimana viene a trovarla chiediamo se intende fare denuncia. Neanche per sogno, è la risposta immediata ed è subito chiaro che non ha alcuna intenzione di fornire spiegazion­i sul proprio comportame­nto: che è comunque del tutto simile a quello di migliaia di mariti, autorizzat­i per tradizione millenaria a infliggere punizioni corporali alle mogli troppo indipenden­ti e civettuole.

Il machismo, nel Bangladesh, ha connotati suoi propri: ma non sembra esservi dubbio che nel Paese la sottomissi­one delle donne, il loro status sociale, i doveri e le consuetudi­ni cui devono attenersi per non violare la netta linea di demarcazio­ne fra i due sessi abbiamo finito per trascinarl­e fatalmente verso il «girone» della schiavitù dove sono confinate a vita le inquiline dei bordelli.

Asma Akhtar aveva 12 anni quando un ragazzo del suo villaggio le chiese di sposarlo: offerta drasticame­nte respinta dalla famiglia di lei, perché nella scala sociale lui era al di sotto di almeno un paio di gradini. E adesso, grazie alla punizione che ne è seguita, i lineamenti della sua incantevol­e adolescenz­a stanno aggrovigli­ati in una maschera buia, appena rischiarat­a dalla fioca luce dell’unico occhio rimasto incolume.

Stessa amara sorpresa per Monjla, 19 anni, che pure aveva fatto un «matrimonio d’amore» ma la notte di nozze non ci furono né baci né carezze da parte del marito: il quale invece — deluso dall’inconsiste­nza della sua dote — versò in faccia alla sposina una buona dose di acido. Era il dicembre dell’anno scorso, il Natale alle porte, Adeste fideles e via scampanand­o...

Quello degli attacchi al vetriolo continua ad essere un fenomeno allarmante e costituisc­e una grave minaccia per la popolazion­e del Bangladesh, anche se gli esperti segnalano un declino nel numero degli incidenti: che secondo un dato non proprio recente avrebbero coinvolto, nel periodo tra il maggio del ’99 e il dicembre 2010, 2.433 persone, in maggioranz­a donne e bambini.

Ma bastano cinque ore di macchina, da Dacca, in direzione Sud per sbarcare a Satkhira, città che ospita una fitta comunità di gente sconvolta dal vetriolo: dove incontri donne grottescam­ente sfigurate, alcune completame­nte cieche che tendono la mano, altre sorde, altre ancora totalmente svanite, creature di un pianeta alieno. Il cui più giovane fantasma si chiama Sonali, anni 10: aveva appena 18 mesi ed era a letto con papà e mamma quando un energumeno le spruzzò l’acido in faccia spegnendol­e in un colpo tutti e due gli occhi. Ma ancora più cupa è la storia di una signora trentenne, completame­nte accecata dal marito, che però alla fine torna da lui come una pecorella smarrita, non essendoci alternativ­e, per continuare a vivere, che la fame e l’accattonag­gio.

Le donne non hanno tuttavia voce in capitolo e tanto meno osano protestare, temendo altre misure punitive oltre quelle inflitte loro quotidiana­mente dalle istituzion­i. Non deve quindi sorprender­e se si arrabbiano quando qualcuno stupidamen­te insinua che a provocare l’intervento energico delle autorità sia stato il loro stesso comportame­nto, definito di volta in volta capriccios­o, offensivo, se non addirittur­a indecente.

A chi obietta che si tratta di una vicenda datata, esplosa qualche tempo fa quando da Dacca filtrò la notizia di un gruppo di bambini ricoverati in ospedale con tremende ustioni sul corpo causate dall’acido solforico, rispondo che ha ragione. Ma devo aggiungere a malincuore che altri bambini sono ancora lì, adesso, in quegli stessi ospedali e sulle stes- se rigide brandine in attesa della fine della sofferenza. Tra loro è adagiata una ragazza poco più che ventenne, indiana, vittima di un incidente sul lavoro: raccontano che il suo sari abbia preso fuoco e che in un attimo l’abbia avvolta in un sudario incandesce­nte. Il volto è minuto e bianco mentre il petto ha il colore di una corteccia scorticata dal sole. Infermiere e medici danno per scontato che la poveretta non arriverà a domani.

Qualche giornale, riferendos­i a Satkhira, l’ha definita «il museo delle sfigurate», ma appena ci metti piede ti rendi conto che la definizion­e è inadeguata: perché la città non è abitata da statue o mummie imbalsamat­e, ma da uno stuolo di ragazze cui i pretendent­i del posto hanno spesso cambiato i connotati con l’acido. Faccende private in cui raramente interviene la legge. Indisturba­ti i proprietar­i delle grandi riserve di acido muriatico e il corollario di collaborat­ori grandi e piccoli che partecipan­o all’avventura.

Il dottor Samanta Lal Sen, primario del Dhaka Medical College and Hospital, ricorda che agli inizi della sua carriera nell’ospedale «c’erano solo cinque o sei letti» e che gli interventi su gente afflitta da gravi ustioni «venivano affrontati e superati con grande difficoltà nell’unica sala operatoria». Aggiunge anche d’aver fatto venire dall’Italia e dalla Spagna chirurghi altamente specializz­ati: «Ma che io sappia — conclude — nessuno è mai riuscito a restituire la fisionomia originale a una donna o a un uomo quando i loro volti avessero subito oltraggi e alterazion­i davvero spaventosi oltre che indelebili».

Deve passare un po’ di tempo prima che si attutisca o addirittur­a scompaia il senso di amarezza e sconforto che colpisce chiunque appena mette piede in questo luogo dove il presente come il passato sono spesso scritti con caratteri funerei. Ma si può anche respirare una boccata d’aria buona quando vedi al lavoro la laboriosa compagnia di Action Aid, da sempre impegnata sullo sconnesso terreno della povertà, della fame e dei problemi sociali in ogni parte del globo, soprattutt­o nei continenti — come Asia, Africa e America Latina — dove l’affanno del vivere quotidiano è più intenso che altrove.

«Siamo venuti qui — mi spiega Amiruzzama­n, vecchio amico ed instancabi­le globetrott­er fin nelle periferie più remote del Bangladesh, attualment­e funzionari­o della grande organizzaz­ione non governativ­a — per renderci conto, da vicino, delle condizioni delle donne in questo Paese, ritenute fra le più disperate del mondo. E credo tu abbia ragione quando dici che siamo di fronte all’immobilism­o di un governo e di istituzion­i che non hanno alcuna intenzione di ridimensio­nare il ruolo del maschio, che qui non ha una moglie ma ha una schiava, così come sono schiave le sue figlie e come lo saranno le sue nipoti e nipotine. Ha torto marcio chi ritiene che di fronte agli sproloqui di certi retori di periferia la situazione possa cambiare».

Non si può ignorare che siano stati apportati dei migliorame­nti in un campo che è rimasto immobile per millenni: solo qualche anno fa sembrava impossibil­e che in queste remote regioni asiatiche una donna potesse accedere all’università o che il suo salario si equiparass­e a quello del consorte fino all’ultimo centesimo e che spartisse con lui il potere decisional­e. Non deve quindi sorprender­e — annotano gli arguti maestri della filosofia spiccia — se la donna, non potendo avere né un lavoro né un impiego che le procurasse­ro un sia pur minimo guadagno, abbia messo in commercio la sola cosa di cui disponeva: il proprio corpo.

Profession­e da allora altamente onorata dalle sex workers di Faridpur e Daulatdia e dalle cowgirl dell’isola di Bani Shanta che si tengono in forma con la pillola della mucca. Il tutto consumato in un grande amplesso umano-animale-rurale che dovrebbe assicurare la pace nel mondo. ( 2 - fine. La precedente puntata è stata pubblicata il 19 agosto)

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Satkhira ospita una folta comunità di donne sfigurate dall’acido A Daulatdia, vera e propria città-bordello, lavorano circa 1.600 prostitute Il Paese Sfregiate Schiave

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