Il Pd insofferente riscopre la non sfiducia
Cresce il malessere per gli effetti dell’appoggio al governo. Fioroni: limitare i danni
C’ è un nuovo termine per definire l’atteggiamento del Pd nei confronti del governo: è «la non sfiducia». Ossia, avanti con Monti ma nel contempo «ridurre i danni» che ne potrebbero derivare.
ROMA — Il sempre immaginifico Beppe Fioroni ha coniato un nuovo termine, «la non sfiducia», per definire l’atteggiamento del Partito democratico nei confronti del governo. Insomma, per il Pd si deve andare avanti con Monti sino alla fine della legislatura, ma nel contempo, per dirla sempre con il responsabile Welfare di largo del Nazareno, occorre «ridurre i danni» che l’azione di questo governo potrebbe arrecare ai democratici.
Del resto, bastava uno sguardo all’Unità di ieri per capire i sentimenti che i vertici del Partito democratico nutrono verso il gabinetto Monti. «Crescita, c’è solo un’agenda», era l’apertura della prima pagina del quotidiano fondato da Gramsci dopo il Consiglio dei ministri di venerdì. E gli altri titoli erano tutti sulla stessa lunghezza d’onda: «Dal governo un elenco di propos t e s e nz a a l c u n p i a no c o nc r e t o » , «Niente scosse all’economia», e via di questo passo.
Dunque, per Bersani c’è ancora molto da fare per «rompere l’avvitamento tra austerità e rigore». La pensano così molti dirigenti del partito. Secondo Stefano Fassina, per esempio, non basta «una lunga lista di misure futuribili per incidere sulla questione vera che è l’economia reale». Della stessa opinione Cesare Damiano, che precisa: «Su sviluppo ed equità sociale l’azione del governo appare ancora lenta. Non si può sacrificare tutto alla logica del puro rigore dei conti».
La «non sfiducia», quindi, è la linea su cui sembra attestarsi quasi tutto il Pd. E nei mesi a venire questo atteggiamento non subirà modifiche. Anzi. Bersani, infatti, ha davanti a sé ben due campagne elettorali. La prima, quella delle primarie. Per pescare consensi a sinistra e distinguersi dal suo competitor interno, Matteo Renzi, che sembra invece farsi paladino della cosiddetta «Agenda Monti», il segretario batterà il tasto delle insufficienze dell’azione del governo. E anche la preparazione dell’altra campagna elettorale, quella vera e propria, spingerà il leader di largo del Nazareno a non nascondere le differenze di impostazione tra l’attuale esecutivo e il Pd. Quale sarà l’atteggiamento con cui il Partito democratico affronterà i mesi a venire lo spiega molto bene Fassina: «La nostra priorità sarà l’agenda Bersani, che parte dall’economia reale». Il che significa anche che l’obiettivo della maggioranza del Pd resta sempre lo stesso: portare il segretario a Palazzo Chigi. Di un governo Monti anche nella prossima legislatura a largo del Nazareno non parlano e, soprattutto, non vogliono sentir parlare. D’altra parte il segretario lo ha spiegato ai suoi già tante volte: «Ora tocca alla politica, non si può sospendere la democrazia».
Quindi, massima stima per Mario Monti, che potrebbe benissimo occupare un posto di rilievo, come quello di titolare del ministero dell’Economia, nel futuro governo a guida Pd, o aspirare al Quirinale, ma, per quanto riguarda il Partito democratico, la parentesi dei governi di grande coalizione si è chiusa. E qui entra in ballo la questione della legge elettorale. All’accordo manca veramente poco, ma, come sottolinea, Fassina «noi non abbiamo l’anello al naso e vigileremo perché nessuno cerchi di dare vita a un sistema che ci impedisca di governare e renda invece obbligatoria la via della grande coalizione». Per il resto, da parte del Pd c’è la massima disponibilità, come spiegava anche ieri lo stesso Bersani: «Siamo alla vigilia di una scelta che a questo punto è solamente politica. Noi vogliamo chiudere l’accordo, vediamo che cosa vogliono veramente gli altri».
Sulla legge elettorale sono in molti nel Pd a spendersi. Soprattutto Enrico Letta. Ma dentro non tutti la pensano nello stesso modo. Fioroni è contrario al premio di maggioranza al primo partito: «È un imbroglio», taglia corto il responsabile del Welfare. Anche Rosy Bindi la pensa così. Mentre sull’altro tema delicato, quello delle preferenze, si registrano le resistenze di Veltroni e la netta opposizione di Franceschini. La materia è delicata, ma non induce certo il segretario a cambiare la rotta. I bersaniani poi sono sparatissimi e vogliono spianare il terreno al leader perché arrivi a Palazzo Chigi. Si spiega così l’uscita di Matteo Orfini contro l’ingresso degli ex ministri in un futuro governo a guida Pd: «Bersani deve essere libero dai condizionamenti di alcuni dirigenti, eletti tre anni fa con il Porcellum, e che non hanno nessun potere reale e nessun seguito. E comunque gli italiani non ne possono più delle solite facce». Ce ne vogliono di nuove, per la battaglia contro Grillo, ma anche per strappare una vittoria larga nel duello interno con Renzi.