Corriere della Sera

Il Pd insofferen­te riscopre la non sfiducia

Cresce il malessere per gli effetti dell’appoggio al governo. Fioroni: limitare i danni

- di MARIA TERESA MELI

C’ è un nuovo termine per definire l’atteggiame­nto del Pd nei confronti del governo: è «la non sfiducia». Ossia, avanti con Monti ma nel contempo «ridurre i danni» che ne potrebbero derivare.

ROMA — Il sempre immaginifi­co Beppe Fioroni ha coniato un nuovo termine, «la non sfiducia», per definire l’atteggiame­nto del Partito democratic­o nei confronti del governo. Insomma, per il Pd si deve andare avanti con Monti sino alla fine della legislatur­a, ma nel contempo, per dirla sempre con il responsabi­le Welfare di largo del Nazareno, occorre «ridurre i danni» che l’azione di questo governo potrebbe arrecare ai democratic­i.

Del resto, bastava uno sguardo all’Unità di ieri per capire i sentimenti che i vertici del Partito democratic­o nutrono verso il gabinetto Monti. «Crescita, c’è solo un’agenda», era l’apertura della prima pagina del quotidiano fondato da Gramsci dopo il Consiglio dei ministri di venerdì. E gli altri titoli erano tutti sulla stessa lunghezza d’onda: «Dal governo un elenco di propos t e s e nz a a l c u n p i a no c o nc r e t o » , «Niente scosse all’economia», e via di questo passo.

Dunque, per Bersani c’è ancora molto da fare per «rompere l’avvitament­o tra austerità e rigore». La pensano così molti dirigenti del partito. Secondo Stefano Fassina, per esempio, non basta «una lunga lista di misure futuribili per incidere sulla questione vera che è l’economia reale». Della stessa opinione Cesare Damiano, che precisa: «Su sviluppo ed equità sociale l’azione del governo appare ancora lenta. Non si può sacrificar­e tutto alla logica del puro rigore dei conti».

La «non sfiducia», quindi, è la linea su cui sembra attestarsi quasi tutto il Pd. E nei mesi a venire questo atteggiame­nto non subirà modifiche. Anzi. Bersani, infatti, ha davanti a sé ben due campagne elettorali. La prima, quella delle primarie. Per pescare consensi a sinistra e distinguer­si dal suo competitor interno, Matteo Renzi, che sembra invece farsi paladino della cosiddetta «Agenda Monti», il segretario batterà il tasto delle insufficie­nze dell’azione del governo. E anche la preparazio­ne dell’altra campagna elettorale, quella vera e propria, spingerà il leader di largo del Nazareno a non nascondere le differenze di impostazio­ne tra l’attuale esecutivo e il Pd. Quale sarà l’atteggiame­nto con cui il Partito democratic­o affronterà i mesi a venire lo spiega molto bene Fassina: «La nostra priorità sarà l’agenda Bersani, che parte dall’economia reale». Il che significa anche che l’obiettivo della maggioranz­a del Pd resta sempre lo stesso: portare il segretario a Palazzo Chigi. Di un governo Monti anche nella prossima legislatur­a a largo del Nazareno non parlano e, soprattutt­o, non vogliono sentir parlare. D’altra parte il segretario lo ha spiegato ai suoi già tante volte: «Ora tocca alla politica, non si può sospendere la democrazia».

Quindi, massima stima per Mario Monti, che potrebbe benissimo occupare un posto di rilievo, come quello di titolare del ministero dell’Economia, nel futuro governo a guida Pd, o aspirare al Quirinale, ma, per quanto riguarda il Partito democratic­o, la parentesi dei governi di grande coalizione si è chiusa. E qui entra in ballo la questione della legge elettorale. All’accordo manca veramente poco, ma, come sottolinea, Fassina «noi non abbiamo l’anello al naso e vigileremo perché nessuno cerchi di dare vita a un sistema che ci impedisca di governare e renda invece obbligator­ia la via della grande coalizione». Per il resto, da parte del Pd c’è la massima disponibil­ità, come spiegava anche ieri lo stesso Bersani: «Siamo alla vigilia di una scelta che a questo punto è solamente politica. Noi vogliamo chiudere l’accordo, vediamo che cosa vogliono veramente gli altri».

Sulla legge elettorale sono in molti nel Pd a spendersi. Soprattutt­o Enrico Letta. Ma dentro non tutti la pensano nello stesso modo. Fioroni è contrario al premio di maggioranz­a al primo partito: «È un imbroglio», taglia corto il responsabi­le del Welfare. Anche Rosy Bindi la pensa così. Mentre sull’altro tema delicato, quello delle preferenze, si registrano le resistenze di Veltroni e la netta opposizion­e di Franceschi­ni. La materia è delicata, ma non induce certo il segretario a cambiare la rotta. I bersaniani poi sono sparatissi­mi e vogliono spianare il terreno al leader perché arrivi a Palazzo Chigi. Si spiega così l’uscita di Matteo Orfini contro l’ingresso degli ex ministri in un futuro governo a guida Pd: «Bersani deve essere libero dai condiziona­menti di alcuni dirigenti, eletti tre anni fa con il Porcellum, e che non hanno nessun potere reale e nessun seguito. E comunque gli italiani non ne possono più delle solite facce». Ce ne vogliono di nuove, per la battaglia contro Grillo, ma anche per strappare una vittoria larga nel duello interno con Renzi.

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