Corriere della Sera

Servizi pubblici, gli enti locali e il nodo liberalizz­azioni

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È tutta da recuperare la brusca frenata alle liberalizz­azioni e privatizza­zioni dei servizi pubblici locali, come trasporti, ferrovie e rifiuti, prodotta dalla sentenza di luglio con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittim­ità della legge seguita al referendum sull’acqua. Quest’ultima aveva delineato una disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contraddis­tinta dalla medesima ratio di quella abrogata dal referendum, anche se prudenteme­nte aveva tenuto fuori la materia dell’acqua. Il decreto cresci Italia a propria volta aveva operato quella che il governo definisce «una drastica riduzione delle ipotesi di affidament­o in house », vietandolo a servizi pubblici di valore superiore a 200 mila euro annui, e così accentuand­o le disposizio­ni della normativa del governo Berlusconi. Sono tornate così in vigore ora le norme europee più permissive che sottopongo­no le società in house a tre vincoli: la società affidatari­a deve essere pubblica, deve svolgere la parte prevalente della propria attività con l’ente affidante, e l’ente deve garantire su questa un «controllo analogo» a quello che esercita sui propri uffici. Nel documento sulla crescita si promette di «ridefinire un quadro normativo coerente e integralme­nte attuativo del diritto comunitari­o» ma il tempo stringe. Laddove l’empito liberalizz­atore ha trovato una battuta d’arresto nella sentenza, a spingere verso l’apertura del mercato non restano che i vincoli di bilancio imposti agli enti locali e la necessità di trovare partner privati in un momento di profonda crisi.

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