Slogan e sedie vuote Bossi alla festa leghista nell’era di Maroni
Sul palco anche Calderoli e Castelli
ALZANO LOMBARDO (Bergamo) — Di magico è rimasto il suono delle cornamuse, scozzesi e bergamasche, che lo accolgono al suo arrivo. Ma la Bèrghem Fest che Umberto Bossi ritrova al culmine di una primavera-estate di passione e di scandali è molto diversa da quella che solo un anno fa lo portava in trionfo. C’è poca gente, l’urlo «Bos-si, Bos-si» si leva a fatica. Sul palco ci sono solo Roberto Calderoli e Roberto Castelli. In fondo al tendone, nos t a l g i a c a nagl i a , c o mpare Alessandro Patelli, il «pirla», il tesoriere finito in disgrazia ai tempi della lega della Prima Repubblica. «Provo affetto per Umberto. Sono venuto per rivederlo». È la mozione degli affetti, forse l’unica molla che spinge ancora a venire ad ascoltare la voce sempre più rauca e provata del vecchio leone. Lui, messo da parte il folklore, parte dalla stretta attualità: «L’Europa è una truffa. Gli imprenditori sono in ginocchio. Con Monti dura minga». Lo spadone padano infilza Equitalia, «la macchina inventata dallo Stato centralista per stritolare i contribuenti del Nord». Tornano le antiche parole d’ordine, Bossi incita alla «lotta di liberazione». Critica chi, anche nella Lega, pensa che si possa « padanizzar e i l S ud » . No, non ci sono possibilità per il Senatur: «Fuori dalle balle». L’Italia, secondo la versione bossiana, è vittima di un doppio centralismo: quello di Roma ladrona da un lato e dell’Europa dall’altro. La gente ascolta ma non ci sono cori né applausi. Uno stanco battimani si alza solo quando Bossi grida alla luna che «l’Italia è finita». Non parla delle vi- cende interne, non evoca i complotti che gli hanno messo soqquadro il movimento e la famiglia. L’unico accenno è una battuta scherzosa rivolta al presidente della Provincia di Bergamo Ettore Pirovano. «Ah, le mogli… Per certe cose sono buone, per altre…». Un sorriso amaro gli attraversa il viso, i maggiorenti leghisti che gli sono a fianco sul palco si guardano di sottecchi. Questa è terra che si è scoperta quasi unanimemente maroniana anche se Bossi l’ha sempre considerata la sua seconda casa. Anche i «fratelli» bergamaschi hanno allentato il rapporto. Come dice Alessandro Patelli: «Verso Umberto l’affetto rimane sempre». Ma, appunto, è affetto. Non più amore. E sarà pure un caso sfortunato, ma l’assenza della statua di Alberto da Giussano all’ingresso della Bèrghem Fest è qualcosa di più di una coincidenza. Forse è il segno dei tempi, di una Lega che cerca di rifarsi un’identità. Nella serata dedicata al fondatore, la prima e non più l’ultima della manifestazione, si coglie un misto di nostalgia e di stanchezza. Le sedie vuote sotto il palco sono un inedito assoluto. Tanto più qui, in riva al Serio, dove solo un anno fa sfilavano in trionfo i ministri del governo Berlusconi. E tocca proprio a un ex ministro, Roberto Calderoli, rianimare la platea. Con gergo popolare, infiocchettato di espressioni sopra le righe, attacca Elsa Fornero e Corrado Passera. Bossi si mette in disparte e sorseggia una Coca Cola, come uno spettatore qualsiasi. Si guarda attorno, scruta i volti della sua gente, approva con ampi gesti del capo le parole di Calderoli. Soprattutto quando si riparla di separazione dall’Europa. Rispunta il vecchio grido «se-ces-sio-ne». Ma nemmeno questo ha più il vigore dei bei tempi andati. Il segretario provinciale Cristian Invernizzi sente il dovere di sottolineare il clima di unità contro i corvi giornalistici che sarebbero venuti ad Alzano per un’improbabile ultima resa dei conti. Una scusa non richiesta che suona come ulteriore sottolineatura di una serata strana, diversa dalle ventidue precedenti che hanno visto Bossi protagonista alla Bèrghem Fest. Toccava a lui chiudere, scaldare il suo popolo, lanciare i temi della stagione politica autunnale. Ora deve fare da apripista. Un ruolo che richiede un vigore e una freschezza che, forse, non ci sono più.