Jeff il mitomane fallito e Steve il venditore scaltro Un dramma americano
NEW YORK — Jeff e Steve, il designer fallito e il venditore capace, il disegnatore di T-shirt che aveva perso il posto e il vicepresidente appena tornato dalla vacanza in Messico con la fidanzata. Colleghi che si odiavano come accade a tanti: Jeff introverso, minuzioso e minuto, Steve 110 chili di sorrisi, uno che dipingeva le donne l’altro che le conquistava, una vita vuota contro una vita sudata, il drop-out e il l a u r e a t o , l ’ Ameri c a c a d u t a e l’America che ce la fa.
Jeff ha ucciso Steve con tre colpi alla testa, venerdì mattina. Un delitto «minore» che ha trasformato il cuore di Manhattan in un palcoscenico per incubi «maggiori»: un atto di terrorismo? La strage di un killer invasato come quella nel cinema di Denver? Invece Jeffrey Johnson disegnava magliette e voleva uccidere soltanto il suo ex capo. Pochi minuti dopo, davanti ai poliziotti che l’hanno intercettato sul marciapiede fuori dall’Empire State Building, ha tirato fuori la pistola dalla borsa di tela. Una telecamera di sicurezza mostra le immagini finali: l’uomo con il completo grigio si gira, tende la mano con l’arma (gli restavano 5 proiettili) e i poliziotti da pochi metri lo colpiscono (sette volte), mentre fuori scena nove passanti restano feriti dai proiettili della polizia.
Il sindaco di New York Michael Bloomberg punta il dito sulle troppe armi in circolazione. Jeff non era un patito: aveva comprato la sua pistola calibro 45 nel ’91 in Florida (anche se non aveva la licenza per tenerla a New York). La sua fine dimostra che non aveva dimestichezza con le armi e forse neanche con i film d’azione. È caduto di schiena, a braccia aperte, la stessa posizione in cui poco prima è crollato Steve.
Entrambi ogni mattina uscivano per andare al lavoro, Jeffrey Johnson e Steven Ercolino, 58 anni e 41: Steve prendeva il treno dal New Jersey diretto alla piccola «Hazan abbigliamento» sulla 33esima strada, sotto il grattacielo più famoso di New York. Jeff andava a comprare la colazione da McDonald’s e tornava a casa sulla 82esima East. Lo aspettavano i gatti e il sito Internet (stjollysart.com) del suo piccolo improbabile business online, arte da stampare su tazze e magliette: illustrazioni di bionde in moto e vecchie automobili, Chevy Bel Air del ’57, spiagge deserte, ragazze e velieri di pirati. La vicina di casa Gisela Casella, 71 anni, che portando fuori il suo bastardino terrier-chihuahua lo vedeva uscire con il completo grigino, ha detto che credeva lavorasse in banca: «Non pensavo fosse disoccupato».
Licenziato a fine 2010 dalla Hazan, piccola azienda di abbigliamento femminile e accessori fondata 40 anni fa da due fratelli. Licenziato come tanti. Jeff, che da giovane aveva frequentato per un paio d’anni il Ringling College of Design di Sarasota in Florida, occupava una delle posizioni più vulnerabili alla crisi (oltre 5 milioni di posti tagliati nel settore manifatturiero dal 2000 a oggi). Ad Hazan l’avevano sostituito con una persona più giovane, pagata meno. L’economista David Autor parla di «missing middle»: oggi resistono i lavoratori pagati molto e quelli pagati poco, i posti nel mezzo scompaiono più facilmente. Jeff faceva parte di quel middle schiacciato dalla crisi. Un Willy Loman del Duemila, una versione di Morte di un commesso viaggiatore in cui il protagonista fallito diventa assassino e il capo salesman muore. Più facile prendersela con il