«Vent’anni dopo la diretta mise lui pace tra me e Orlando»
Sono addolorato perché oltre ad essere stato il comunicatore della sua impresa, c’è anche una ragione personale: abbiamo la stessa età, tutti e due nati nel 1930. La telecronaca dello sbarco è stata una delle più facili anche se faticosa. Trenta ore di trasmissione, ma dalla Nasa avevamo ricevuto la tabella di marcia minuto per minuto e dunque, siccome gli astronauti rispettavano il programma, ciò mi ha permesso di condividere lo straordinario momento storico in diretta senza ostacoli. Tutti intorno a me lavoravano con straordinaria efficienza e da giorni preparavano quella fatidica notte. Ma i momenti più difficili sono stati gli ultimi dodici minuti, senza immagini, tenendo viva una telecronaca rispettando quello che accadeva. È stato proprio in quella fase che nacque il disguido con Ruggero Orlando da New York. Io annunciai che l’«Aquila» era atterrata e lui intervenne dicendo: «Non ha toccato». Ma la navicella di sbarco aveva dei sensori all’estremità delle sue gambe da ragno e queste effettivamente avevano segnalato l’arrivo. Dopo lo sbarco Neil Armstrong venne a Roma con Edwin Aldrin e Michael Collins, gli altri due compagni d’avventura lunare, e li accompagnai al Quirinale per l’incontro con il presidente. Terminata la cerimonia avevano fretta di partire perché erano stati invitati a casa di Gina Lollobrigida. Scendemmo attraverso una scala a chiocciola riservata, ma alla fine ci bloccò un paparazzo che conosceva bene il Quirinale. In quella foto Armstrong è l’unico a sorridere, come un ragazzino. Lui lo rividi a Roma nel 1989, vent’anni dopo la Luna, e lui fece da mediatore, in un certo senso, tra me e Ruggero Orlando, e così ricomponemmo l’amichevole diatriba che si era trascinata per due decenni.