I Magnoni e l’eredità amara della Pop Lodi
La carriera dei due banchieri milanesi e la crisi della Sopaf
MILANO — Il prossimo 10 settembre avrebbe compiuto 32 anni. Invece la Sopaf, storica finanziaria di Piazza Affari della nota famiglia milanese Magnoni, proprio in quei giorni si troverà a convocare un’assemblea che dovrà deliberare sul concordato preventivo e a sperare di poter sopravvivere — dice la sua anima storica e amministratore delegato Giorgio Magnoni — «in continuità aziendale», grazie alle nuove norme che dall’11 settembre estenderanno il margine di manovra sul modello dei salvataggi cosiddetti Chapter 11 negli Usa. La speranza è anche quella di incontrare nel frattempo un cavaliere bianco che salvi la holding di partecipazioni. Un epilogo amaro per la storica finanziaria fondata nel 1980 da Jody Vender come «Società partecipazioni finanziarie», che la quoterà nel 1984 e la controllerà fino al 2005, anno in cui Sopaf si fonde per incorporazione alla Lm Etve di Giorgio Magnoni, che tramite Acqua Blu diventa il nuovo azionista. A dare il colpo di grazia alla società di investimento, da due anni alle prese con problemi finanziari, è stato il crac di Banca network investimenti (Bni), il piccolo istituto nato nel 2003 da una costola della Popolare di Lodi e poi ceduto tra il 2006 e il 2007 per 104 milioni a una compagine di azionisti capitanata dalla Sopaf. La Bni era uno degli investimenti più importanti dei due fratelli Ruggero ( in foto a destra) e Giorgio Magnoni ( in foto a sinistra), azionisti sia direttamente sia dentro la holding Petu- nia e dunque di fatto soci principali. Il ricorso al concordato per Sopaf era nell’aria: il 10 agosto scorso la società di Foro Buonaparte a Milano non aveva pagato le cedole dei due prestiti obbligazionari convertibili in scadenza e già il 22 luglio aveva escluso la percorribilità di risanamento del debito.
Le difficoltà amareggiano la famiglia, vicinissima a Roberto Colaninno, e protagonista (riservata e da dietro le quinte) della finanza italiana degli ultimi vent’anni. Ruggero, azionista di Sopaf con il 6,5%, è un noto banchiere. Bocconiano, come Jody Vender, dopo la specializzazione in economia alla Columbia Business School negli Stati Uniti entra come giovane apprendista alla Kuhn Loeb, nota banca d’affari americana. Segue una brillante carriera con l’ingresso in Lehman Brothers, dove arriva a essere vicepresidente di Lehman Brothers in Europa e, dopo il clamoroso fallimento della banca americana, diventa numero uno di Nomura nel Vecchio Continente. All’inizio degli anni Novanta aveva assistito il tycoon sudafricano Johan Rupert nell’operazione che lo ha portato a investire almeno 400 miliardi nel capitale di Mediaset ed era stato al fianco della famiglia Feltrinelli nelle trattative per rilevare i negozi Ricordi dalla Bmg Ariola (filiale della Bertelsmann), un affare da ottanta miliardi di lire. Anche il fratello Giorgio entra con agilità nel mondo del business, inizialmente come rappresentante per l’Europa di un’altra grande banca d’affari, la Dillon Reed, e poi in proprio con la finanziaria «Pragma». Il senso degli affari è di famiglia. Il padre, Giuliano, negli anni Settanta si era messo in società con Michele Sindona e ne era poi diventato parente: il figlio maggiore Pier Sandro aveva, infatti, sposato una figlia di Sindona.
Con il concordato, si allontana il progetto di passaggio generazionale, cominciato in sordina nell’ottobre scorso quando Giorgio Magnoni ha passato ai figli Niccolò, Luca Emilio Alessandro e Andrea il controllo della Acqua blu (che controlla Sopaf con una quota del 31,4%), attraverso l’assegnazione del diritto di voto ai figli che erano fino ad allora nudi proprietari.