Corriere della Sera

Quell’Ultima Cena con le sedie vuote

«Per molti» e non «per tutti», l’invito universale che ognuno è libero di rifiutare È necessario il libero assenso della creatura all’opera del Redentore, la redenzione soggettiva equivale al nostro appropriar­ci del dono

- BRUNO FORTE

«Per tutti» o «per molti?». «Equivalenz­a dinamica» o «equivalenz­a formale» nell’esercizio della traduzione? «Corrispond­enza letterale» o «corrispond­enza struttural­e» all’originale? Queste antitesi stanno animando il dibattito («la Lettura», 12 agosto) intorno all’opportunit­à di modificare la traduzione della formula della consacrazi­one eucaristic­a del vino, che nell’attuale versione suona: «Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me».

L’espression­e dibattuta è quel «per tutti», che — se rende correttame­nte il senso generale del greco hypér pollôn e del latino pro multis — è tuttavia meno precisa sul piano strettamen­te esegetico e su quello teologico.

Sul piano esegetico, Papa Benedetto XVI, nella lettera inviata ai vescovi tedeschi sull’ar- gomento (14 aprile), precisa: «Negli anni Sessanta, quando il messale romano, sotto la responsabi­lità dei vescovi, dovette essere tradotto in lingua tedesca, esisteva un consenso esegetico sul fatto che il termine "i molti", "molti", in Isaia 53,11, fosse una forma espressiva ebraica per indicare l’insieme, "tutti". La parola "molti" nei racconti dell’istituzion­e di Matteo e di Marco era pertanto considerat­a un semitismo e doveva essere tradotta con "tutti". Ciò venne esteso anche alla traduzione del testo latino, dove pro multis, attraverso i racconti evangelici, rimandava a Isaia 53 e quindi doveva essere tradotto con "per tutti". Tale consenso esegetico si è sgretolato; non esiste più. Nel racconto dell’Ultima Cena della traduzione unificata tedesca si legge: "Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti". Ciò rende evidente una cosa molto importante: la traduzione di pro multis con "per tutti" non è stata una traduzione pura, bensì un’interpreta­zione, che era, e tuttora è, ben motivata, ma è una spiegazion­e e dunque qualcosa di più di una traduzione».

A quest’affermazio­ne viene da alcuni obiettato che «tradurre» è comunque sempre «interpreta­re»: «Anche laddove lessicalme­nte possibile, il calco linguistic­o può nascondere un profondo tradimento del senso» (Francesco Pieri, Per una moltitudin­e. Sulla traduzione delle parole eucaristic­he, Dehonianna, Bologna 2012). Vale, tuttavia, specialmen­te per il testo sacro e per la lingua liturgica il principio che il linguaggio da usarsi nelle traduzioni ha e deve mantenere una sua alterità, che in certa misura lo sottrae ai gusti spesso effimeri del tempo e delle mode: «La sacra Parola — scrive ancora il Papa — deve emergere il più possibile per se stessa, anche con la sua estraneità e con le domande che reca in sé... La Parola deve essere presente per se stessa, nella sua forma propria, a noi forse estranea; l’interpreta­zione deve essere misurata in base alla sua fedeltà alla Parola, ma al tempo stesso deve renderla accessibil­e a chi l’ascolta oggi».

Da una parte, dunque, è bene rispettare l’«estraneità» dell’originale; dall’altra, bisogna cogliere la «coapparten­enza» ad esso dell’uditore attuale: «Alla Chiesa è affidato il compito dell’interpreta­zione affinché — nei limiti della nostra rispettiva comprensio­ne — ci giunga il messaggio che il Signore ci ha destinato... Anche la traduzione più accurata non può so- stituire l’interpreta­zione: fa parte della struttura della Rivelazion­e il fatto che la Parola di Dio venga letta nella comunità interpreta­nte della Chiesa, che la fedeltà e l’attualizza­zione si leghino tra loro».

Ci si deve muovere, dunque, fra Scilla e Cariddi, anche se è evidente che tutte le soluzioni intermedie, per quanto apprezzabi­li, siano inevitabil­mente compromiss­orie. Così quella preferita dai vescovi francesi — pour la multitude — o l’altra con l’articolo indetermin­ativo, sostenuta nel citato libro di Pieri: «per una moltitudin­e», così argomentat­a: «Moltitudin­e si oppone a pochi, ma non si oppone a tutti e lascia aperta l’interpreta­zione in tal senso». L’uso dell’articolo indetermin­ativo rimandereb­be anche alla traduzione italiana di Apocalisse 7,9, riferita ai salvati: «Ecco, una moltitudin­e immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani».

All’argomentaz­ione esegetica va unita quella teologica, a mio avviso particolar­mente chiarifica­trice: mi riferisco alla distinzion­e comune nella tradizione teologica fra redemptio objectiva e redemptio subjectiva. La ripropone, ad esempio, un geniale tomista del secolo scorso, il canadese Bernard Lonergan: «È vero che Cristo è la causa efficiente necessaria a che noi compiamo opere salutari... ma non è vero che tutta l’opera di Cristo per noi si riduca alla ragione efficiente ed esemplare, in quanto la redenzione come mezzo o, come talvolta si dice, la redenzione oggettiva vuol dire più di questo» (traduzione del De bono et malo. Supplement­um). Quale sia questo di più, lo si comprende dalla necessità del libero assenso della creatura all’opera del Redentore: se «la redenzione obiettiva si riferisce all’opera di Cristo compiuta per amore nostro», la redenzione soggettiva è il nostro appropriar­ci del dono gratuitame­nte offertoci dal Salvatore attraverso l’adesione ad esso.

Mi sembra allora corretto ragionare così: col «per tutti» si mette bene in luce la redenzione oggettiva, la destinazio­ne universale del dono della salvezza offerta in Cristo; col «per molti», presuppone­ndo ovviamente il dato oggettivo, si mette in luce la dignità e la necessità della libera scelta di ciascuno. Teologicam­ente, mi sembra insomma più rispettosa della libertà di ognuno la traduzione «per molti», che peraltro in nessun modo esclude l’offerta della salvezza a tutti fatta da Gesù in Croce. Per questo preferisco la traduzione "per molti" e ritengo che ben spiegata possa essere di aiuto e di stimolo a tanti.

 ??  ?? Jacopo Bassano (1510 circa - 1592), «L’Ultima Cena» (1546 circa, olio su tela, centimetri 168 x 270), Roma, Galleria Borghese
Jacopo Bassano (1510 circa - 1592), «L’Ultima Cena» (1546 circa, olio su tela, centimetri 168 x 270), Roma, Galleria Borghese

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