Boris Pahor, l’ombra del Duce su un amore impossibile
Il personaggio Torna rivisto «La villa sul Lago», romanzo dello scrittore mitteleuropeo che oggi compie novantanove anni
Èquasi un regalo di compleanno a Boris Pahor, che oggi taglia il traguardo dei novantanove, l’uscita del romanzo La villa sul lago (Zandonai, pp. 192, 13,50). È il secondo omaggio che il 2012 riserva al grande vecchio, dopo la pubblicazione dell’autobiografia Figlio di nessuno (con Cristina Battocletti, Rizzoli).
La trama della Villa sul lago si consuma in tre giorni, attorno al pellegrinaggio compiuto da un architetto trentenne di nome Mirko. L’uomo, mentre fa i conti con il passato e ripercorre quella stagione ritornando in un luogo di guerra dov’era stato in missione, incontra e s’invaghisce (a modo suo) di Luciana, ingenua operaia tessile del Garda, «con le mani nodose del legno», cresciuta nel culto del Duce. Amore senza futuro. Come altri del resto raccontati da Pahor, che tende a intrecciare fantasia e realtà. «Mi piace narrare più che inventare», è solito dire, ammettendo di essere il protagonista di tutte le sue storie. A cominciare da Necropoli (orrori e dolori vissuti nei campi di concentramento nazisti), l’opera che lo ha reso famoso anche in Italia, dopo che i francesi l’avevano lanciato.
La villa sul lago, invece, tocca corde più intime. Ma anche qui il dramma del reduce, con le ferite ancora aperte, è presente. Tradotto dallo sloveno da Marija Kacin, il libro era già stato pubblicato nel 2002 (Nicolodi-Zandonai). L’idea di farne una nuova versione nasce con l’obiettivo di rendergli maggior merito linguistico. E ora, finalmente, soddisfa l’autore che, assieme alla traduttrice e alla curatrice Giusi Drago, ha compiuto un minuzioso lavoro di revisione. Così da esprimere al meglio pensieri, dialoghi, sfumature. Pahor — è bene ricordarlo — se avesse scritto in lingua italiana non avrebbe certo avuto difficoltà: laureato in letteratura italiana (a Padova), insegnò questa mate- ria nelle scuole della sua città. La questione è diversa. Boris è di nazionalità slovena. Quando nacque, Trieste apparteneva all’impero austroungarico. E all’epoca la sua lingua madre, come altre, era ammessa e liberamente studiata. Poi, il fascismo portò repressioni, persecuzioni contro gli sloveni ( cimici, sciavi), che, secondo le ferree leggi del Duce, avrebbero dovuto italianizzarsi. A sette anni, Boris vide bruciare il Narodni Dom, cioè la Casa della cultura. Da allora, l’identità diventò il baluardo da difendere. Pahor coltivò lo sloveno di nascosto, approfondì le opere dei letterati. Quindi, scrittore egli stesso, la scelta fu conseguente: lo sloveno sarebbe stata la lingua dei suoi libri.
La figura del Duce e la cupa atmosfera del Ventennio ritornano nella Villa sul Lago. Il titolo fa riferimento a Villa Feltrinelli di Gargnano dove Benito Mussolini soggiornò per i seicento giorni (1943-1945) della Repubblica di Salò. Nel romanzo, l’ex residenza del Duce, avvistata da Mirko e Luciana durante le furtive camminate tra cipressi, ulivi e limonaie, diventa motivo di contrasto. «Delinquente», sfugge con natura- lezza dalle labbra di lui, davanti alla villa. «Non ha fatto mica nulla di male — obietta lei. — Che colpa ne ha se lo hanno tradito e abbandonato al proprio destino?... Non dovevano impiccarlo come un animale».
Tanto basta perché il fascino della graziosa operaia cada all’istante. Riflette Mirko: «Con un estraneo si può litigare, mentre alla delusione provocata da chi sentiamo vicino non vi è altro rimendo all’infuori del silenzio oppure, nei casi più gravi, dell’abbandono». E Luciana: «È più amareggiato che fanatico. Severo. Ma che c’entra questo con noi due? La villa ha rovinato tutto». In verità, nel breve tempo che resta, tra dubbi, tormenti, parole, Mirko riesce ad aprire un varco nella mente della ragazza, facendole prendere coscienza dei mali di un mondo per lei inafferrabile. Possono amarsi, allora? Progetti comuni li sfiorano, le loro vite, però, sono già altrove. «D’estate verrai sulla nostra costa? — disse lui — Verrai?». «Mah. Tu rimarrai sempre un vagabondo». «È probabile».