La morale delle fiction in Italia è ferma alla famiglia allargata
La
rappresentazione della famiglia nella tv italiana copre un arco di tempo ideale che va dalla «Famiglia Benvenuti» (1968) a «Una grande famiglia» (2012) ed è guidata da una sola idea: in più di 40 anni la famiglia si è allargata. Non è più composta dai due genitori e dai figli (due è la misura canonica) ma si sono inseriti nuovi soggetti, causa divorzio. Non c’è altro: non c’è scrittura, non c’è tensione drammaturgica, non c’è interpretazione nei confronti della società (l’unico accenno è all’integrazione, causa donne di servizio). La ragione principale è che la fiction italiana si basa molto sugli stereotipi e gli stereotipi, in quanto tali, sono grossolani, ridicoli, poco credibili. Per dire, c’è più materia di riflessione sulla rappresentazione della famiglia in una puntata dei «Simpson» che in una intera serie televisiva italiana. «La famiglia Benvenuti» raccontava le avventure di una tipica famiglia della media borghesia italiana a metà degli anni 60 (padre architetto, madre casalinga, due figli, una governante), alle prese con problemi di vita quotidiana e conflitti generazionali. C’era il boom economico, c’era il ’68 che premeva, c’erano le proteste operaie, ma la famiglia Benvenuti affrontava e superava le sue piccole crisi con i buoni sentimenti. Tra gli interpreti c’era anche Giusva Fioravanti e, per la serie «Tv cattiva maestra», sappiamo come è andata a finire. Eppure, oggi, quando si discute di famiglia e tv, sulla spinta delle serie americane, c’è ancora chi rimpiange quell’archetipo del Mulino bianco. «Una grande famiglia» di Ivan Cotroneo ha poco da spartire con la tradizione della fiction italiana. Il modello strutturale sembra piuttosto preso a prestito da «Brothers & Sisters» (2006) che racconta la travagliata vita quotidiana dei Walker, una famiglia californiana composta da due genitori e cinque figli. Mentre, per la recitazione e per la coloritura con cui sono tratteggiati i singoli caratteri, il punto di riferimento sembra La famiglia di Ettore Scola (1986). La foto di gruppo dei Rengoni si anima percorsa da una vena drammatica striata di mistero. Peccato che la recitazione degli attori sia fonte perenne di umorismo involontario, tale da suscitare una lettura di seconda mano, del tutto indifferente ai problemi sociali e famigliari. In mezzo ci sono le famiglie allargate dei «Cesaroni», di «Un medico di famiglia», di «Un posto al sole», di «Incantesimo». Per non parlare delle famiglie di «Le tre rose di Eva» o di «L’una e l’altra». Se capitano incidenti, anche nelle migliori famiglie, la colpa è sempre della tv mai della famiglia: questa è la morale di fondo della fiction italiana.