«Armstrong aveva tanti nemici Qualcuno vuol fargliela pagare»
Savoldelli: «Cosa dovremmo fare con Coppi, Bartali e Merckx?»
Paolo Savoldelli ha vinto due volte il Giro: l’ultima, nel 2005, con la maglia della Discovery Channel di Armstrong, a cui ha poi fatto da gregario per il settimo sigillo al Tour. La sua difesa di Lance è laica e parte da una premessa. «Non metto la mano sul fuoco per nessuno, nemmeno per Lance».
Però?
«Lui è stato un fuoriclasse assoluto. Nel fisico, fortissimo. E nella testa, d’acciaio».
L’Usada non la pensa così.
«Io credo che sia mossa da motivazioni politiche. E non penso che riuscirà a togliergli tutto. Andando anche contro il principio della retroattività della pena, che è di otto anni».
Nel 2005 avete corso insieme Tour e Parigi-Nizza. Con voi compagni che rapporti aveva?
«Io non facevo parte del suo gruppo di allenamento. Solo una volta sono stato con lui a Tenerife, ma lui non stava in altura perché era con Sheryl Crow. Una cosa, ripensando a quegli anni mi lascia perplesso...».
Cioè?
«Ragiono come se fossi lui: mi dopo e lo faccio con tutti i compagni di squadra. Mi sembrerebbe una pazzia».
In che senso?
«Di Armstrong nessuno sapeva niente. Lui aveva il terrore di essere trovato positivo. Aveva il cuoco che controllava tutto, anche le borracce. Aveva paura di un complot- to, non voleva smettere, ma non poteva più andare avanti con quella vita. Per questo mi sono sorpreso quando è tornato nel 2009».
Per l’Usada sono sotto accusa anche gli anni del rientro. Che ne pensa?
«Mi pare che l’inchiesta federale sia finita con un nulla di fatto e la giustizia americana non è tenera su queste cose: il procuratore Nowitzki era il mastino del caso Balco. Per questo l’accanimento della giustizia sportiva mi sembra ridicolo e credo che il procura- tore antidoping voglia pubblicità. Quando Lance dice che è uno spreco di soldi pubblici non ha tutti i torti...».
Ma lui è pur sempre un simbolo. E condannarlo significa dare un messaggio forte: l’impunità non esiste per nessuno. Non crede?
«Sì è vero, ma andare indietro di 14 anni non ha molto senso. Cosa facciamo con Coppi, Bartali o Merckx?».
Non la sorprende che tra gli accusatori ci sia anche lo storico gregario Hincapie?
«Sì, è vero. Ma è anche vero che il nome di George non l’ha fatto ufficialmente ancora nessuno».
Il ruolo di Landis invece sembra più importante e più certo. Che ne dice?
«Floyd ha vinto un Tour, è stato trovato positivo. Ha negato per due anni, poi ha ammesso e ha detto che il doping glielo ha insegnato Lance. Un percorso non troppo credibile».
Resta il fatto che i nemici sono tanti. Si è dato una spiegazione?
«Armstrong aveva un caratteraccio e si è scontrato con tanta gente. Io stesso non mi sono lasciato bene con lui, perché al Tour si era comportato da padre-padrone. Lance era uno spaccone e non mi sorprende che qualcuno voglia fargliela pagare: si è creato tante inimicizie, anche senza motivo: lui e Bruyneel si sentivano invincibili. Una sera a cena ci disse: ‘‘Se sentite qualcuno che parla male di me, ditemelo’’. Gli serviva per caricarsi ancora di più...».
L’Uci aspetta di vedere le carte. Questo è un punto a favore dell’americano?
«Sì, all’Uci questa inchiesta non piace, perché viene sovrastata».
Ma Armstrong rinunciando a difendersi dalle accuse dell’Usada ha implicitamente ammesso la sua colpevolezza. Crede che si arrenderà?
«Lo escludo. Non è uno sprovveduto e ora ha preso la decisione che più gli conveniva. Ma andrà avanti a combattere».
Resta il fatto che se Armstrong perde il Tour i podi di quegli anni sono imbarazzanti...
«Sì. E se ci fosse stato il passaporto biologico come adesso sarebbe stato diverso. Ma questo c’entra comunque poco con l’inchiesta su Lance che rovina l’immagine di uno sport che ha fatto tanto per ripulirsi».
Certo che i fatti di Campiglio che nel ’99 appiedarono Pantani sembrano poca cosa rispetto a quanto accaduto dopo. O no?
«Marco era il simbolo del ciclismo italiano. Fermare lui era il segnale che chiunque non fosse a posto sarebbe stato fermato. Mentre in precedenza qualche grande nome era stato salvato. Da lì è iniziato tutto. E questo sport non ha più guardato in faccia a nessuno». Nemmeno Armstrong? «Sì e le faccio un ultimo esempio: nel 2005 prima del Tour lo controllò a sorpresa l’agenzia francese antidoping, un organismo indipendente, facendogli firmare un foglio per consentire di riesaminare sangue e urina per gli otto anni successivi con nuovi metodi». Si è saputo più niente? «Direi proprio di no».