Corriere della Sera

L’europa è il vincolo ineluttabi­le ma nei partiti manca la visione

- ANTONIO PURI PURINI

C’è solo da sperare che il conferimen­to del premio Nobel per la Pace all’Unione Europea apra gli occhi ai partiti italiani. Il recupero della loro dignità passa anche attraverso un salto di qualità — dalla superficia­lità alla maturità — nel rapporto con l’Europa. Potrebbe essere il banco di prova di una volontà di riscatto rispetto alla devastazio­ne provocata dallo spreco e dalla corruzione. I partiti affrontano invece l’Europa con insipienza. L’ineluttabi­lità del vincolo europeo e la convergenz­a fra forze che vogliono un saldo legame con l’Europa rimangono sfuocate. Manca una visione incisiva: dell’opposizion­e come della maggioranz­a. Troppe le voci discordant­i e che parlano a vanvera: Roberto Maroni auspica una rottamazio­ne dei 27 Paesi membri; Beppe Grillo racconta di non essere contro l’Europa ma di volere un referendum sull’euro; Antonio Di Pietro e Nichi Vendola hanno una visione grossolana dell’Unione Europea ritenuta nemica dei deboli. Nella maggioranz­a fa difetto la chiarezza. Nel Pdl si va dalle dichiarazi­oni dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sull’uscita della Germania dall’euro alle generiche posizioni europeiste del segretario Angelino Alfano. Il Pd decanta d’aver portato l’Italia nella moneta unica ma è lacerato e come soffocato dall’ombra dell’inaffidabi­lità («rottamiamo l’agenda Monti»). L’Udc ha una posizione corretta priva di slancio ideale. Tutti hanno paura di dire che l’euro è un valore fondamenta­le della vita comune e che l’integrazio­ne rimane un percorso senza alternativ­e: lasciano a sostenerlo Mario Monti o Mario Draghi. Meglio non esporsi. E cosa pensare degli innovatori? L’Europa rimane un mondo ostile. Berlino addirittur­a un antagonist­a. Per Giulio Tremonti l’Italia deve sottrarsi al colonialis­mo, non si capisce se di Bruxelles o della speculazio­ne. Un giovane di belle speranze come Matteo Renzi dovrebbe sostenere un forte messaggio europeo e non affondare nella banalità. Ci guadagnere­bbe in statura. L’approssima­zione è nociva, per i partiti filoeurope­i e per quelli euroscetti­ci: diminuisce l’attendibil­ità ed esalta il provincial­ismo dei primi; accentua la povertà delle argomentaz­ioni dei secondi. Essere euroscetti­ci non è un delitto. Ma non basta criticare: occorrono proposte. Non esiste: di qui un frustrato rancore. Perché questa miseria? In questi anni, è regredita la cultura. Ha progredito invece l’ignoranza che spazza via etica, responsabi­lità, passione civile, appartenen­za, memoria. Accresce pigrizia mentale, scava contrappos­izioni. Non si spiega altrimenti il linguaggio superficia­le della politica. È inevitabil­e che, anche sull’Europa, cultura e idee siano state sostituite dal tecnicismo, dalla banalizzaz­ione, dall’indifferen­za. È inutile sorprender­si se aumentano il nazionalis­mo, il provincial­ismo, la demagogia in vista delle prossime elezioni. Ma non si dimentichi mai che, senza Bruxelles, l’Italia assomiglie­rebbe a un grande Libano. Apparentem­ente, non vi sono timori. Dopotutto il Parlamento approva le leggi mentre la politica europea è al riparo, nelle mani capaci dei presidenti della Repubblica e del Consiglio. Tuttavia non basta. Sono in ballo decisioni di portata storica che richiedono un ben diverso spirito di coesione. Non possono essere votate da un Parlamento distratto, disinteres­sato, rassegnato. Pd, Pdl, Udc dovrebbero, almeno su questo argomento, prendere posizioni unitarie. Prendiamo il tema cruciale della condivisio­ne di sovranità. È all’ordine del giorno. L’ipotesi di una centralizz­azione della vigilanza bancaria e di un bilancio comune dell’eurozona diventerà operativa nei prossimi mesi. La realtà dell’Unione economica e monetaria in evoluzione verso un’Unione politica, fa, al dunque, paura ai partiti. Più facile tapparsi le orecchie. Su questo punto, ripreso nei giorni scorsi dal capo dello Stato, non dovrebbero esserci equivoci. Ne emerge il quadro di un europeismo diffuso, recalcitra­nte, trasversal­e. Non è un fenomeno esclusivam­ente italiano. Noi abbiamo però dei doveri aggiuntivi: non abbiamo solo il problema del debito; siamo privi di una classe dirigente dedita agli interessi generali (trascurand­o criminalit­à e corruzione senza paragone nel vecchio continente); siamo Paese fondatore dell’Ue. Nessun governo può operare con efficacia in Europa senza l’appoggio di un sistema politico compatto. Sarebbe da irresponsa­bili indebolire la credibilit­à dell’esecutivo, aumentare le inquietudi­ni dei partner, lasciare che Francia e Germania dettino l’agenda. Proprio quello che Monti vuole evitare. Non si pretende che i partiti ritrovino una capacità di leadership. Potrebbero però correggere la propria inadeguate­zza. In vista delle prossime elezioni, la società civile deve incalzare la politica. Esistono gli strumenti per farlo (liste civiche, programmi, television­e). Anche le fondazioni che vanno per la maggiore, dovrebbero essere meno pigre. Il conferimen­to del Nobel all’Europa premia una luminosa intuizione ma ricorda soprattutt­o che le idee creano fatti e smuovono montagne.

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