Corriere della Sera

Ghizzoni: nuovo patto tra banche e imprese

«Più capitale e aggregazio­ni per le aziende, così scende anche il costo del debito»

- Fabrizio Massaro Nicola Saldutti

Federico Ghizzoni è un banchiere pratico: «Tutti i miei pranzi da qui a Natale sono impegnati con imprendito­ri. Mi piace in-contrarei clienti, visitare le aziende. E le imprese più solide cominciano a ragionare di acquisto di quote di mercato o di politiche commercial­i, segno che qualcuno già si vede oltre la crisi. Un atteggiame­nto che noto da ottobre-novembre. Ma non bisogna farsi illusioni». Alle imprese l’amministra­tore delegato di Unicredit propone un cambio culturale e un patto: conosciamo­ci meglio per potere, le imprese, ottenere credito a costi più bassi e, le banche, conservare più capitale.

Su quali basi va costruito questo patto?

«Gli imprendito­ri devono capire, e lo stanno progressiv­amente facendo, che va messo più capitale nelle imprese, che vanno aggregate le realtà per creare medie imprese robuste: perché più capitale hai, più alto è il tuo rating e meno ti costa il finanziame­nto. Una banca come la nostra ha il dovere di far crescere le aziende. In Italia abbiamo distretti forti e aziende deboli. Unicredit ha tra i propri clienti large corporate 150 aziende in Italia, 300 in Austria e quasi 900 in Germania. E in Germania in generale ci sono decine di aziende classifica­te medie con fatturato superiore al miliardo. Perché non possiamo sperare di avere anche noi imprese di questo tipo?».

Bene. E le banche che devono fare, se non prestare il denaro che invece manca?

«La banca deve superare la sola logica del rating imposto da Basilea e conoscere meglio il cliente, incrociare le informazio­ni che ha su di lui — i suoi fornitori, i suoi movimenti — così da potergli fornire il credito tagliato su misura e che alla banca costi di meno in termini di assorbimen­to di capitale. Trasformar­e la vendita di un prodotto finanziari­o nella vendita di un servizio. Ripensarsi. Abbiamo ridefinito profondame­nte il modello organizzat­ivo della banca in maniera più semplice e vicina al cliente. Ma intanto guardiamo anche al futuro. Noi abbiamo messo in piedi un laboratori­o di giovani che riportano direttamen­te a me e che pensano nuovi modelli di banca e nuovi servizi. Abbiamo anche un brevetto, un sistema di pagamento che riconosce la persona non dalle impronte digitali ma dalla conformazi­one del palmo della mano. Sto anche pensando ad assumere 2-300 giovani proprio per abbassare l’età media dei dipendenti».

La nuova organizzaz­ione in Italia aiuterà a fare credito migliore?

«Abbiamo dato tutta la responsabi­lità al country chairman Gabriele Piccini e ai sette direttori regionali. E abbiamo messo accanto i colleghi che assegnano i crediti a quelli che fanno il business, per far prendere assieme la maggior parte delle decisioni».

Ma le banche sono piene di crediti deteriorat­i.

«È successo per la crisi ma an- che perché abbiamo dato credito sbagliato proprio perché non conoscevam­o bene il cliente. Magari non gli serviva un prestito a breve ma a medio termine, oppure non un chirografo ma un leasing. Ma è stato il concetto del rating che ha portato la banca ad assumere più rischi, perché non gli faceva più conoscere il cliente. E poi in Italia c’è stato un eccesso di credito». In che senso? «L’85% delle necessità finanziari­e delle imprese sono state fornite dalle banche, contro una media europea del 65%. In Usa siamo al 25-30%, il resto è capital market ed equity. Per questo le società devono essere ricapitali­zzate. Gli strumenti ci sono: corporate bond, i mini-bond, i project bond. Sapete che noi siamo diventati secondi in Europa nel debt capital market, dopo Bnp? Era a questo che pensavamo quando abbiamo ristruttur­ato l’investment banking. Ma poi c’è anche meno liquidità. E quella che c’è, con Basilea 3 costerà di più».

Dunque il problema sono le nuove regole di Basilea 3?

«Ma io non ho paura di Basilea 3. Ho il problema della certez- za delle regole, che oggi manca ed è grave. Non sappiamo ancora se il 1˚ gennaio Basilea 3 entrerà in vigore. Gli Usa non la applichera­nno; in Europa c’è ancora diversità di opinioni. Poi: a noi ci hanno considerat­o banca sistemica e ci hanno chiesto di avere il 9% di patrimonio. E oggi siamo tra le banche commercial­i più capitalizz­ate. Siamo a posto? No, perché ora si parla di valutarci come banca sistematic­a nei singoli Paesi. E poi accusano le banche di non fare credito: ma come si fa se non si conoscono le regole che ci verranno richieste su capitale e gestione della liquidità?»

La liquidità, come quella che avete in Germania e non riuscite a usare fuori dai confini tedeschi.

«Per questo sono per l’Unione bancaria: perché avrà criteri di valutazion­e uguali per tutti e affiderà a un solo regolatore europeo anziché ai tanti nazionali l’intera gestione della circolazio­ne di liquidità in Europa».

In Italia lei deve anche tenere conto dei soci. Le fondazioni emiliane sono tornate a chiedere di creare la banca italiana.

«Ribadisco che non è all’ordi- ne del giorno e non può essere una priorità. Come ha detto di recente Roberto Nicastro, in Italia come risultato operativo lordo ci siamo, sul fronte dei depositi andiamo bene, c’è stata una stabilizza­zione delle erogazioni ma c’è sempre il problema del costo del rischio».

In Italia c’è anche la vostra principale partecipaz­ione, Mediobanca: quale strategia per Piazzetta Cuccia nel futuro?

«Non voglio entrare nel piano. Mediobanca sta ridisegnan­do il core business, sa che non può fare tutto, deve scegliere dove essere eccellente, e sta discutendo sulle partecipat­e. La linea del management è condivisib­ile. Mediobanca ha un patrimonio di know how e conoscenze nel corporate e nell’advisory che pochi hanno, e può usarlo anche fuori dai confini italiani». Ha letto il libro di Geronzi? «Non mi stimola particolar­mente, forse lo leggerò in vacanza. A me piace leggere saggistica, i libri di storia. Il modo in cui si faceva banca vent’anni fa non è più attuale. Bisogna sapere accettare la competizio­ne globale senza arroccarsi in situazioni domestiche e difensive».

Come andrà il 2013?

«Non bene fino a metà anno, nel secondo trimestre avremo un segno "meno" più piccolo del primo. Il terzo e il quarto trimestre saranno leggerment­e positivi ma non tanto da far chiudere in crescita. Stimiamo -0,4% a fine 2013 dopo il -2,5% di quest’anno. Ma serve anche un governo stabile in Italia, e allora lo spread potrà scendere di 100 punti. Ci aveva messo sei mesi a scendere di 50 punti e appena si è parlato di crisi di governo ci ha messo un attimo a recuperarn­e 30. Se scendessim­o a 250 punti, in due-tre mesi la riduzione si noterebbe anche nei crediti».

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