Corriere della Sera

«Meritocraz­ia valore di destra» L’idea che la sinistra deve rottamare

- ROGER ABRAVANEL

Una settimana fa Pier Luigi Bersani ha vinto le primarie del centrosini­stra. I suoi elettori dicono che ha fatto riscoprire la meritocraz­ia nella politica con le primarie del centrosini­stra dopo che per anni si è assistito al proliferar­e di candidati scelti dai partiti (quando non personalme­nte dal padre padrone) unicamente sulla base della fedeltà invece che sul merito individual­e. Adesso il suo compito è di creare una nuova sinistra per cercare di vincere le elezioni e governare con successo. Creare una nuova sinistra non richiede solo di «rottamare» alcuni dei politici come vorrebbero in molti, ma anche alcune vecchie idee. La prima, e forse la più importante, è stata la risposta data al moderatore del dibattito di Sky tra i contendent­i alle primarie che chiedeva a Bersani se fosse «in favore di più meritocraz­ia». Al che il segretario del Partito democratic­o ha risposto «va bene più meritocraz­ia, ma anche più eguaglianz­a». Il che sottintend­e che la competizio­ne va bene per i vertici della politica e della economia, ma se estesa alle masse dei lavoratori e degli studenti può portare, per esempio, a licenziame­nti di massa e alla perdita del «diritto allo studio». Ne deriva che l’unico modo efficace per ridurre la diseguagli­anza è quello di ridistribu­ire la ricchezza dai ricchi ai poveri. Nulla di nuovo. Per la sinistra italiana la meritocraz­ia resta un valore «di destra» e l’egalitaris­mo continua a restare il principio fondante, contrariam­ente alle sinistre nordeurope­e che da più di vent’anni lo hanno fatto evolvere nella ricerca delle pari opportunit­à. L’idea era semplice: se uno va avanti solo se è bravo e non perché è furbo o raccomanda­to da qualcuno che gli deve un favore, la mobilità sociale aumenta perché anche un povero meritevole può salire sull’«ascensore sociale». Questo sistema di valori è in realtà pienamente accettato dalla sinistra italiana che ha lottato negli ultimi anni molto di più della destra contro i privilegi anticoncor­renza e il non rispetto delle regole. Eppure resta sospettosa quando l’idea della competizio­ne spinta viene estesa dall’élite alle masse. Questo avviene per due motivi. Primo, «il bisogno»: il lavoratore che fa male il proprio lavoro meriterebb­e di essere licenziato ma «ha bisogno» del posto di lavoro (per mantenere una moglie che non lavora e i figli precari); e quindi resta l’articolo 18. Secondo: il «diritto acquisito»: il precario della scuola ha acquisito il diritto al posto fisso e quindi è giusto opporsi al primo concorso dopo 10 anni che lo mette in competizio­ne con la nuova generazion­e di insegnanti. È ovvio perché questi due motivi valgono solo per le masse e non per il top: Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani non hanno né il «bisogno» né il «diritto» di diventare presidenti del Consiglio e quindi si accetta una competizio­ne accanita. Ma non si accetta per milioni di lavoratori e studenti. E neanche Matteo Renzi, che pure ha preso posizioni coraggiose e anche controprod­ucenti su pensioni e politica estera ha osato esprimersi chiarament­e a favore di una meritocraz­ia più diffusa su temi come il lavoro e la scuola: ha dichiarato di voler adattare il giusto modello della flexsecuri­ty di Pietro Ichino (quasi scomunicat­o dal Partito democratic­o) ma non ha parlato della meritocraz­ia individual­e e, relativame­nte alla scuola, ci si sarebbe aspettata più enfasi nel sostenere l’esigenza di valutare gli insegnanti per migliorare la qualità dell’insegnamen­to dove è meno buona. Il problema è che la sinistra italiana non si rende conto che rispettare i «bisogni» e i «diritti acquisiti» perpetua la spaventosa ineguaglia­nza della società italiana che abbiamo già descritto nelle pagine di questo quotidiano. Se non si può licenziare un lavoratore che lavora male (proteggend­olo con ammortizza­tori sociali orientati a reinserirl­o rapidament­e nel mondo del lavoro), aumenterà l’attuale apartheid tra 12 milioni di lavoratori di fatto inamovibil­i a livello individual­e e 9 milioni licenziabi­li senza vincolo alcuno. Se il «diritto allo studio» protegge insegnanti mediocri, ciò va a scapito degli studenti con meno mezzi per i quali la scuola è la unica vera chance di azzerare i privilegi della nascita; continuerà in Italia la discrimina­zione tra gli studenti del Nord che hanno scuole di livello europeo e quelli del sud che l’Ocse misura essere a livello dell’Uruguay e della Thailandia. Se la sinistra da un lato lotta giustament­e contro la corruzione nella sanità, ma dall’altro protegge indiscrimi­natamente chi ci lavora, in alcune regioni del Centro Sud con sprechi assurdi, incompeten­za e pessimo livello di servizio, l’ineguaglia­nza della qualità del servizio sanitario pubblico tra alcune regioni del Nord e altre del Centro Sud è destinata ad aumentare, in particolar­e adesso che non si può ricorrere più alla spesa pubblica. La mancanza di meritocraz­ia ci ha resi più ineguali, nonostante la pretesa di essere una società basata sulla solidariet­à. Ma è anche la principale causa della stagnazion­e economica degli ultimi 25 anni. L’apartheid del lavoro, oltre a essere ingiusto, ha distrutto la produttivi­tà, perché il precario bravo raramente riceve dalle imprese gli investimen­ti in formazione e in sviluppo profession­ale, che alla fine ci rimettono in produttivi­tà. E l’immettere ogni anno molto meno studenti eccellenti (un terzo) delle società nordeurope­e con scuole capaci di seguire i più lenti ma anche di valorizzar­e i più bravi, non creerà la classe dirigente per fare ripartire l’economia del nuovo millennio. Convincers­i che la meritocraz­ia porta a più eguaglianz­a e conseguent­emente «rottamare» tanti tabù della vecchia sinistra sarà essenziale a Pier Luigi Bersani per convincere gli elettori del Pd che hanno votato per Matteo Renzi a votare per lui alle prossime elezioni e a vincerle. Ma soprattutt­o sarà essenziale per governare un Paese fermo da 25 anni.

Meritocraz­ia.corriere.it

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