Al Cairo in campo i generali E Morsi fa il passo indietro
Il presidente annulla il decreto che gli dava poteri assoluti
IL CAIRO — Nella drammatica partita politica egiziana, ieri è stato il giorno dei militari. Fin qui convitato di pietra nello scontro in atto da due settimane tra il presidente islamico Mohamed Morsi e l'opposizione laica guidata da Mohamed El Baradei, l'esercito ha gettato il suo enorme peso nella contesa schierandosi, con accortezza studiata ma con sufficiente chiarezza, al fianco del potere in carica. Costringendo però il presidente, ieri sera, a ritirare il controverso decreto emesso il 22 novembre, con cui si assegnava poteri quasi assoluti.
La giornata è iniziata con un doppio annuncio: dapprima il giornale governativo Al Ahram ha rivelato che Morsi aveva già assegnato ai militari funzioni di polizia, affidando loro temporaneamente la protezione delle istituzioni statali e autorizzandoli ad arrestare i civili coinvolti in eventuali disordini. Non è ancora la legge marziale, ma poco ci manca.
Poche ore dopo, un portavoce dello Stato Maggiore ha letto una dichiarazione nella quale l'esercito si dice «addolorato e preoccupato» per la spaccatura che mette in peri- colo il Paese e riconosce «la propria responsabilità nel difendere gli interessi supremi della nazione e proteggere gli obiettivi vitali, le istituzioni e l'interesse dei cittadini innocenti». I militari invocano un «serio dialogo nazionale», come sola strada per portare a un consenso «nell'interesse dell'Egitto e del suo popolo»: «Ogni altra ipotesi ci metterebbe in un tunnel buio con conseguenze catastrofiche, qualcosa che non permetteremo». E in quella che è apparsa come una bacchettata all' opposizione, che ha messo sotto assedio il palazzo del presidente liberamente eletto e richiesto le sue dimissioni, l'esercito ricorda infine che ogni soluzione «non dovrebbe contraddire la legittimità e le regole democratiche».
Ma l'intervento dei militari è probabilmente anche all'origine dell’annullamento del decreto con il quale Morsi aveva reso inappellabili le sue decisioni. Il presidente ha incaricato un comitato di 6 esperti di proporre modifiche al decreto del 22 novembre scorso, con cui si è concesso poteri straordinari e che ha innescato la mobilitazione degli avversari. Il presidente invece sembrava ieri notte determinato a tenere duro sul referen- dum sulla Costituzione previsto per il 15 dicembre.
La manovra di Morsi ha coinciso con la controffensiva politica dei Fratelli Musulmani, il partito del presidente, che ieri ha tenuto la prima conferenza stampa di alto profilo dall'inizio della crisi. Mohammed Badie, suprema guida spirituale del movimento, ha condannato le violenze degli ultimi giorni, la cui responsabilità ha ovviamente addossato all'opposizione e, sull'esempio di Morsi, a una «cospirazione» in atto per cacciarlo. Badie ha difeso le elezioni come la via migliore per uscire dall'emergenza. Ancora più duro il suo potente vice, l'uomo d'affari Khairat Al Shater: «Non ci faremo nuovamente rubare la rivoluzione. Il nostro compito è difendere la legittimità e fermare il complotto per distruggere il presidente».
L'arrivo sulla scena dei militari può essere un'arma a doppio taglio per Morsi. Sicuramente gli coprirà il fianco contro ogni colpo di mano. Ma allo stesso tempo lo costringe a concedere qualcosa all'opposizione, fin qui irremovibile nella doppia richiesta di annulla- re decreto e referendum sulla Costituzione, vedendo in filigrana nel documento il passaggio a Nord-Ovest per un regime islamico.
Nelle strade, la giornata di ieri, complice la festa, è trascorsa in modo tranquillo. Una grande folla, comunque meno numerosa della sera precedente, ha continuato a circondare il palazzo presiden-