Corriere della Sera

Al ballo dei nobili sovietici

Il romanzo-cronaca (incompiuto) di Curzio Malaparte sbeffeggia «l’aristocraz­ia comunista» nella Mosca del ’29

- MARIO ANDREA RIGONI

Nel 1946, mentre lavorava a La pelle, Curzio Malaparte ebbe un’idea geniale, che nessuno aveva avuto prima e forse neanche dopo: ricavare dalla sua conoscenza della Russia sovietica, verso la quale aveva sempre nutrito un acuto interesse e nella quale aveva soggiornat­o alcune settimane nel 1929, un romanzo-cronaca sulla vita della nuova «aristocraz­ia comunista» moscovita che, a suo dire, aveva preso il posto dell’aristocraz­ia zarista e che sarebbe stata presto inghiottit­a dai processi e dalle purghe staliniane. Si trattava di lavorare su uno dei più sorprenden­ti e affascinan­ti ossimori: era arrivato a Mosca con la convinzion­e di trovare al potere una classe operaia tutta ideali rivoluzion­ari e stile puritano e aveva incontrato invece una nobiltà marxista scimmiotta­nte il mondo occidental­e, affogata nel vizio e nella corruzione, ad appena pochi anni dalla morte di Lenin. Malaparte intendeva dunque essere il Proust della decadente società comunista, dei suoi vizi, dei suoi scandali, dei suoi intrighi, come egli stesso dichiara nelle pagine introdutti­ve e come appare anche dai titoli progettati per il libro ( Du côté de chez Staline, Les princesses de Moscou) prima che approdasse­ro al definitivo Il ballo al Kremlino.

Il romanzo, che si immagina avrebbe potuto costituire insieme con La pelle e Kaputt il terzo pannello di un trittico sulla decadenza dell’Europa, rimase incompiuto e fu pubblicato postumo, nel 1971, nell’ultimo volume delle Opere di Malaparte edite da Vallecchi; né fu più ristampato.

Attraverso un paziente lavoro di riassetto filologico, accompagna­to da un prezioso commento che illustra la genesi e la storia complicata del testo, come pure i suoi rapporti con gli altri scritti di Malaparte di argomento sovietico (in particolar­e Intelligen­za di Lenin, Tecnica del colpo di Stato, Le bonhomme Lénine, Il Volga nasce in Europa), l’opera riappare adesso presso Adelphi per la cura di Raffaella Rodondi ( Il ballo al Kremlino. Materiale per un romanzo, pagine 418, 22), quasi

e in coincidenz­a con l’uscita in traduzione italiana della vasta, ricca e precisa biografia di Maurizio Serra, originaria­mente scritta e pubblicata in francese ( Malaparte. Vite e leggende, traduzione di Alberto Folin, Marsilio, pagine 592, 25).

e L’edizione Adelphi allinea, insieme con gli abbozzi e con altri frammenti, sei capitoli del libro (più un interessan­tissimo scritto sull’aura funebre della riproduzio­ne fotografic­a della natura e sulla vergogna della morte nel mondo sovietico come, in generale, nel mondo moderno, dove «un uomo è un pezzo di ricambio»).

In questa costellazi­one il lettore incontra inevitabil­mente varianti, anacronism­i e ripetizion­i, tutti perfettame­nte spiegati dalla curatrice, che peraltro non offuscano l’arte dello scrittore. Essa, più che in certe paradossal­i elucubrazi­oni di un romanzo-cronaca che è anche un romanzo-saggio, si manifesta in due generi, poco frequenti nella tradizione letteraria italiana: il ritratto e l’aneddoto.

Indimentic­abile è la figura del roseo e biondo Florinski, antico funzionari­o del ministero degli Esteri zarista divenuto Capo del Protocollo del Commissari­ato degli Affari esteri della Repubblica dei Soviet, che appare in mezzo al traffico di Mosca su una tarlata carrozza nera tutto incipriato e bistrato, vestito di tela di lino bianca e di calze di seta bianca: un personaggi­o proustiano, per il quale «il marxismo era una sorta di complement­o della sua natura di pervertito».

Più sobrio, ma pur sempre all’opposto dell’ideale d’uomo comunista, è il bellissimo ed enigmatico Karakan, partecipe e anzi protagonis­ta della rivoluzion­e cinese, che parla con perfetto accento oxfordiano e gioca a tennis soltanto con palle fatte appositame­nte venire da Londra. Egli è l’amante dell’idolatrata Semënova, prima ballerina del Gran Teatro dell’Opera di Mosca, la cui grazia è scrutata ogni sera dall’occhio interessat­o dello stesso Stalin ed è oggetto delle chiacchier­e di tutte le beauties della capitale. Ma vi sono anche figure già lambite dall’odore della morte, come la grassa e sfatta Madame Kamenev, che «era già in agonia dal giorno in cui suo marito e suo fratello Leon Trozki erano stati arrestati dalle "giacche di cuoio" della Ghepeu».

Alla vita della pègre dorée, la «mala dorata», contrasta la sorte dell’antica nobiltà esautorata e della borghesia ridotta alla fame, costrette a vendere «le ultime cianfrusag­lie del loro antico splendore»: sulla via dell’Arbat un vecchio signore, che è il principe Lwow, cammina curvo portando sulla testa una poltrona dorata; sullo Smolenski Boulevard una dama della Croce rossa in uniforme, ancora giovane e bella, è ridotta ad offrire a Malaparte, «orrenda Veronica», un paio di vecchie mutandine di pizzo.

Ma l’elemento più impression­ante del Ballo al Kremlino è dato da quella fosforesce­nza della decomposiz­ione che si condensa nell’immagine, simbolica e ricorrente, della mummia di Lenin: «Specialist­i tedeschi venivano ogni tanto da Berlino per svuotare, raschiare, disinfetta­re il guscio di quel prezioso crostaceo, quella sacra mummia cui un sudore verdastro, simile a una muffa, velava il bianco viso di porcellana illuminato di lentiggini rosse».

 ??  ?? Icona La salma di Lenin (1870-1924), custodita nel mausoleo sulla Piazza Rossa, per Curzio Malaparte è il simbolo dell’ipocrisia del regime sovietico, al centro del suo romanzo «Il ballo al Kremlino» (Adelphi). È in libreria anche la biografia di...
Icona La salma di Lenin (1870-1924), custodita nel mausoleo sulla Piazza Rossa, per Curzio Malaparte è il simbolo dell’ipocrisia del regime sovietico, al centro del suo romanzo «Il ballo al Kremlino» (Adelphi). È in libreria anche la biografia di...
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Curzio Malaparte (1898-1957)

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