Corriere della Sera

LA TARTARUGA PIÙ ANTIPATICA

- di SERGIO RIZZO © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Centonovan­tatré giorni. Qualcuno in meno rispetto a i 226 impiegati sette anni fa dal vogatore solitario Alex Bellini per andare con una barca a remi da Genova a Fortaleza, in Brasile. Il doppio, addirittur­a, di quanti ne sono bastati nel 1990 a Reinhold Messner per attraversa­re a piedi l’Antartide. Imprese estreme: mai però come le sfide che propone di continuo la nostra pubblica amministra­zione. Centonovan­tatré giorni, ha calcolato l’ufficio studi della Confartigi­anato, è il tempo che serve in media a una fattura emessa da un fornitore per trasformar­si in denaro. Sei mesi e mezzo. Nel frattempo l’impresa fallisce e i suoi lavoratori si ritrovano sul lastrico. Oppure, per tirare avanti, può indebitars­i fino al collo: trovando però, il che non è assicurato, qualche banca disposta a fare credito. In caso contrario ci sono sempre gli strozzini.

Questa faccenda va avanti da una vita. Correva l’anno 1997 quando le statistich­e europee denunciaro­no come la nostra pubblica amministra­zione saldasse le fatture mediamente in 87 giorni. Appena sette in meno della Grecia, allora a quota 94. Trascorsi quindici anni e alcune stagioni politiche, scandite da sei anni di centrosini­stra, otto e mezzo di centrodest­ra e uno di coabitazio­ne, eccoci a 193. Sei in più perfino rispetto alla Grecia.

Nel solo semestre finito a novembre del 2012, periodo di crisi economica feroce, i tempi medi di pagamento pubblici si sono allungati ancora di ben 54 giorni rispetto ai 139 del maggio scorso. E senza contare le forniture alla sanità, ormai regolate a ritmi biblici: la media è di 269 giorni, ma si arriva a 425 nel Sud, con punte di 793 in Calabria, 755 in Molise, 661 in Campania.

Gli effetti sono devastanti. Si calcola che i debiti commercial­i accumulati dalla pubblica amministra­zione abbiano raggiunto 79 miliardi, dei quali 35,6 soltanto verso i fornitori del servizio sanitario. Un macigno che si ingigantis­ce a velocità impression­ante e nessuno, a dispetto delle promesse condivise da tutti, vuole davvero rimuovere. La motivazion­e? Inconfessa­bile: pagare i fornitori farebbe esplodere un debito pubblico già cresciuto nell’ultimo anno, secondo la stessa Confartigi­anato, di 187.008 euro al minuto. Anche se è impossibil­e ignorare le conseguenz­a catastrofi­che sul sistema delle imprese, cui i ritardi di pagamento costano quasi due miliardi e mezzo l ’ anno solo di maggiori oneri finanziari.

Ma adesso siamo al dunque. E ancora una volta le nostre cattive abitudini si scontrano con il vincolo esterno. Ovvero, le regole europee. Proprio mentre scopriamo che i tempi medi di pagamento si sono allungati ulteriorme­nte di quasi due mesi dobbiamo fare i conti con la normativa comunitari­a in vigore dal primo gennaio che impone di saldare i conti entro trenta giorni.

I partiti che si stanno affrontand­o in campagna elettorale non possono eludere questo argomento cruciale. O liquidarlo con i soliti vaghi propositi. Occorrono impegni precisi. Perché non è soltanto un problema economico. È una questione di civiltà. E ciò, sia chiaro, vale tanto per lo Stato quanto per i molti privati da tempo purtroppo assuefatti alle pessime usanze pubbliche. Un Paese nel quale non si onorano gli impegni in tempi certi non è degno di dirsi civile.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy