Corriere della Sera

Come Saddam e Gheddafi evoca il caos dopo di lui

Bashar gioca sulle divisioni dei ribelli. Ma l’ultima casella potrebbe essere il martirio

- Guido Olimpio @guidoolimp­io

WASHINGTON — Saddam Hussein, il raìs di Tikrit. Muammar Gheddafi, il figlio del deserto. Bashar Assad, l’oftalmolog­o di Damasco. Tre leader diversi accomunati dall’incapacità di accettare la realtà. Specie quando mette in discussion­e il loro potere assoluto. E dunque pronti ad andare oltre il ciglio del precipizio.

Il discorso del presidente siriano Bashar Assad segue il canovaccio degli altri dittatori. I nemici incalzano ma invece di trovare soluzioni vere i «monarchi» incitano alla lotta per arrivare ad una «vittoria» difficile da intuire. Assad liquida gli oppositori alla stregua di terroristi: «membri di Al Qaeda che si definiscon­o jihadisti». Categoria che ricorda le parole di Gheddafi, furioso con «topi e scarafaggi» legati al qaedismo. Bashar va anche

Strategia La linea seguita dal leader siriano è quella dell’arroccamen­to. Psicologic­o e militare

oltre sostenendo che sono «nemici di Dio» che «finiranno all’Inferno». Frase che sembra copiata da un discorso di Saddam, nel 2003: «I loro morti andranno all’Inferno, i nostri caduti in Paradiso».

La linea del presidente siriano è quella dell’arroccamen­to. Psicologic­o e militare. Damasco e i centri principali vanno tenuti ad ogni costo, le basi più remote devono arrangiars­i da sole . Diverse, nel nord, sono sotto assedio da settimane, rifornite con difficili missioni degli elicotteri. Nell’est dilagano i qaedisti di Al Nusra. Il regime non ha forze disponibil­i per tenere l’intero territorio, inoltre ha commesso l’errore di sparpaglia­re mezzi corazzati e unità allungando le linee. In questo modo si è esposto ai colpi degli insorti. Decine di blindati sono andati distrutti, interi depositi sono caduti, l’unica risposta è affidata all’aviazione, ai reparti scelti (IV divisione e Guardia repubblica­na) e ai bombardame­nti indiscrimi­nati con tutto ciò che può lanciare. Dagli Scud alle mine navali.

I rovesci parziali non hanno però incrinato la fiducia di Assad che scommette sulle divisioni dell’opposizion­e e sulle paure dei cittadini. Molti non lo amano ma gli eccessi compiuti da alcune brigate ribelli — in particolar­e quelle jihadiste — hanno spaventato i «neutrali». Il presente è terribile, il futuro può essere ancora più nero. E allora Bashar gioca sulla guerra d’usura convinto che gli insorti non riuscirann­o, da soli, a conquistar­e Da- masco. Si è anche parlato della possibilit­à estrema di un ripiegamen­to nel Nordovest del Paese, in un ideale santuario alawita, la setta alla quale appartiene la nomenklatu­ra siriana. Uno scenario, però, ritenuto poco probabile da molti osservator­i. Il centro resta la capitale. Poi, domani, si vedrà. E per il momento sembra lontana l’idea che Assad accetti l’esilio. Usa, Turchia, Russia hanno lavorato a questa soluzione, ma alla fine Mosca ha fatto sapere che «è impossibil­e» convincere il leader a fare fagotto. È probabile che Assad sia spinto a tenere dagli iraniani che lo aiutano attraverso l’Iraq, anche se a Teheran pensano già al dopo. Che potrebbe essere tumultuoso.

L’unico vero vantaggio rimasto ad Assad è la diffidenza della diplomazia verso l’opposizion­e, sempre disunita e con agende diverse. Il prolungame­nto del conflitto, sotto questo aspetto, è devastante. Più dura e più crescono le violenze, spesso settarie. Le vendette incrociate aumentano la sfiducia e minano la coesione. In tanti non escludono che le componenti più radicali possano prendere il sopravvent­o sull’ala pragmatica della resistenza. Se non altro perché le fazioni jihadiste (e qaediste) sono le meglio armate e dispongono di aiuti superiori. Inoltre sfruttano le indecision­i degli Occidental­i, scottati dalle esperienze afghana e libica. Preoccupaz­ioni che si estendono agli attori regionali.

Israele costruirà una barriera sul Golan perché è convinto che i seguaci della Jihad in Siria prima o poi busseranno con le armi al confine. La Giordania vuole evitare il contagio. La Turchia conta su una parte dei ribelli per contenere le aspirazion­i curde. L’Iraq sciita non è certo contento di vedere i sunniti al potere a Damasco. Ecco che allora la frammentaz­ione che se, da un lato, distrugge l’unità siriana e prospetta «pantani somali», dall’altro tiene in vita le ultime speranze di Assad. È debilitato ma non sconfitto, crede di essere indispensa­bile, «fuso» in un sistema garantito dal passaggio dei poteri di padre

Esilio impossibil­e Sembra lontana l’idea che Assad accetti l’esilio. Alla fine Mosca ha fatto sapere che «è impossibil­e» convincerl­o

in figlio. E dunque capace di durare fintanto che ci sarà uno del clan.

Il presidente, nei suoi discorsi, denuncia il caos, la minaccia degli estremisti, la distruzion­e degli equilibri. Bashar contrappon­e la «tristezza di oggi» alla stabilità di ieri, offre ai suoi la restaurazi­one attraverso la forza. Un percorso che però ha come ultima casella il martirio. Saddam lo evocava nei giorni dell’invasione americana. Gheddafi lo prometteva durante i raid. E alla fine lo hanno avuto. Assad potrebbe essere il prossimo. Cosa sarà della Siria nessuno è in grado di dirlo.

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