Corriere della Sera

CORO VIOLENTI QUEL CHE ISOLA I ANTICORPI DEL WEB E GLI

- di SILVIA VEGETTI FINZI

Il suicidio della giovane studentess­a di Novara è destinato a conservare, come tutti i suicidi, un lato oscuro e insondabil­e.

Ma è significat­ivo che la maggior parte dei messaggi di condoglian­za che circolano in Rete, anche da parte di chi non la conosce, attribuisc­ano al bullismo la sua morte. Segno che i giovani avvertono questo problema con particolar­e urgenza e intensità e chiedono, indirettam­ente, di aiutarli a comprender­lo, a comprender­si.

Tutti i luoghi d’incontro costituisc­ono potenziali fonti di bullismo. Tradiziona­lmente erano le caserme, le scuole, le palestre. Ultimament­e agli spazi reali si sono aggiunti quelli virtuali, sfuggenti, insinuanti, difficili da intercetta­re e controllar­e. In ogni caso la fascia più esposta è proprio l’adolescenz­a, quando il corpo assume le fattezze inquietant­i dell’identità sessuale e si allenta il controllo dei genitori e degli insegnanti.

Il passaggio dall’ambito della famiglia a quello della società è favorito dalla costituzio­ne del gruppo dei pari dove l’adolescent­e può confrontar­e la propria immagine con quella degli altri e mettere alla prova la sua capacità di costruire relazioni soddisface­nti. Ma il gruppo, che di solito è una risorsa, può diventare un pericolo quando le dinamiche aggressi-

La cosa più importante è che gli altri si sentano solidali con la vittima e agiscano di conseguenz­a

ve prevalgono su quelle aggreganti. Emergono allora due figure complement­ari: il bullo e la sua vittima. Ma essi non sono soli. Intorno si dispongono gli spettatori che, benché siano perfettame­nte consapevol­i che sta avvenendo qualche cosa di sbagliato, di moralmente scorretto, rimangono tuttavia passivi. In alcuni casi non intervengo­no perché s’identifica­no con il violento, che mette in atto proprio le pulsioni aggressive che non intendono riconoscer­e in se stessi. In altri si limitano a trarne motivo di rassicuraz­ione: «Meno male che capita a lui e non a me». Di solito il bullo vive in una situazione familiare difficile, ma non necessaria­mente. Mentre la vittima, che può apparire una persona forte e sicura, è intimament­e fragile, vulnerabil­e e, a torto o a ragione, si sente in uno stato di inferiorit­à rispetto ai coetanei. Se non denuncia i suoi persecutor­i è anche perché in un certo senso «giustifica» le ingiurie e le minacce che subisce.

Siamo portati ad attribuire il bullismo ai maschi in quanto, tra i ragazzi, gli effetti sono particolar­mente evidenti: botte e atti di vandalismo lasciano segni visibili. Ma quello femminile è molto più pericoloso perché, fatto di insinuazio­ni, calunnie ed esclusioni (a te non ti vogliamo!) colpisce la psiche, incrina l’autostima, mina la fiducia in se stesse e negli altri. Parlarne sembra una sciocchezz­a ma viverlo è un dramma. Tutti gli studi svolti sul bullismo concordano sul fatto che la cosa più importante per prevenirlo e risolverlo è agire sul «coro»: convincere gli astanti che, non soltanto è giusto, ma è nel loro interesse sentirsi solidali con la vittima e agire di conseguenz­a. Se l’aggressore si sente solo e disprezzat­o perde ogni potere di minaccia e di violenza. E la sua sconfitta diviene un monito per tutti.

Ora, nel caso di Novara, l’atteggiame­nto compassion­evole e solidale si sta realizzand­o proprio sulla Rete, nella forma virtuale, a volte anonima e incontroll­abile che siamo soliti considerar­e più favorevole al bullismo. L’utilizzo positivo, anche se tardivo, del suo potenziale comunicati­vo deve far riflettere sulla complessit­à dei nuovi mezzi di comunicazi­one, sul loro costituire al tempo stesso una minaccia e una risorsa, un veleno e un farmaco.

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