CORO VIOLENTI QUEL CHE ISOLA I ANTICORPI DEL WEB E GLI
Il suicidio della giovane studentessa di Novara è destinato a conservare, come tutti i suicidi, un lato oscuro e insondabile.
Ma è significativo che la maggior parte dei messaggi di condoglianza che circolano in Rete, anche da parte di chi non la conosce, attribuiscano al bullismo la sua morte. Segno che i giovani avvertono questo problema con particolare urgenza e intensità e chiedono, indirettamente, di aiutarli a comprenderlo, a comprendersi.
Tutti i luoghi d’incontro costituiscono potenziali fonti di bullismo. Tradizionalmente erano le caserme, le scuole, le palestre. Ultimamente agli spazi reali si sono aggiunti quelli virtuali, sfuggenti, insinuanti, difficili da intercettare e controllare. In ogni caso la fascia più esposta è proprio l’adolescenza, quando il corpo assume le fattezze inquietanti dell’identità sessuale e si allenta il controllo dei genitori e degli insegnanti.
Il passaggio dall’ambito della famiglia a quello della società è favorito dalla costituzione del gruppo dei pari dove l’adolescente può confrontare la propria immagine con quella degli altri e mettere alla prova la sua capacità di costruire relazioni soddisfacenti. Ma il gruppo, che di solito è una risorsa, può diventare un pericolo quando le dinamiche aggressi-
La cosa più importante è che gli altri si sentano solidali con la vittima e agiscano di conseguenza
ve prevalgono su quelle aggreganti. Emergono allora due figure complementari: il bullo e la sua vittima. Ma essi non sono soli. Intorno si dispongono gli spettatori che, benché siano perfettamente consapevoli che sta avvenendo qualche cosa di sbagliato, di moralmente scorretto, rimangono tuttavia passivi. In alcuni casi non intervengono perché s’identificano con il violento, che mette in atto proprio le pulsioni aggressive che non intendono riconoscere in se stessi. In altri si limitano a trarne motivo di rassicurazione: «Meno male che capita a lui e non a me». Di solito il bullo vive in una situazione familiare difficile, ma non necessariamente. Mentre la vittima, che può apparire una persona forte e sicura, è intimamente fragile, vulnerabile e, a torto o a ragione, si sente in uno stato di inferiorità rispetto ai coetanei. Se non denuncia i suoi persecutori è anche perché in un certo senso «giustifica» le ingiurie e le minacce che subisce.
Siamo portati ad attribuire il bullismo ai maschi in quanto, tra i ragazzi, gli effetti sono particolarmente evidenti: botte e atti di vandalismo lasciano segni visibili. Ma quello femminile è molto più pericoloso perché, fatto di insinuazioni, calunnie ed esclusioni (a te non ti vogliamo!) colpisce la psiche, incrina l’autostima, mina la fiducia in se stesse e negli altri. Parlarne sembra una sciocchezza ma viverlo è un dramma. Tutti gli studi svolti sul bullismo concordano sul fatto che la cosa più importante per prevenirlo e risolverlo è agire sul «coro»: convincere gli astanti che, non soltanto è giusto, ma è nel loro interesse sentirsi solidali con la vittima e agire di conseguenza. Se l’aggressore si sente solo e disprezzato perde ogni potere di minaccia e di violenza. E la sua sconfitta diviene un monito per tutti.
Ora, nel caso di Novara, l’atteggiamento compassionevole e solidale si sta realizzando proprio sulla Rete, nella forma virtuale, a volte anonima e incontrollabile che siamo soliti considerare più favorevole al bullismo. L’utilizzo positivo, anche se tardivo, del suo potenziale comunicativo deve far riflettere sulla complessità dei nuovi mezzi di comunicazione, sul loro costituire al tempo stesso una minaccia e una risorsa, un veleno e un farmaco.