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situazione, con quel tipo di famiglia, per paura di essere esclusi dal gruppo, canzonati, per il terrore del ridicolo, della diversità. Mi colpì perché penso che, prima di ogni cosa, i bambini debbano essere tutelati e protetti». Poi a quelle riflessioni ne sono seguite altre. Oggi Rigotti torna ad affrontare il tema delle coppie e delle famiglie omosessuali forte di molte certezze, anche se restano nodi da sciogliere, grumi teorici da appianare.
«Ho superato le titubanze iniziali dicendomi che da qualche parte bisogna pur iniziare, che le coppie più coraggiose devono aprire la strada anche per le altre che verranno. Se ci si adegua sempre, non vedremo mai reali progressi nel nostro vivere comune. Quando insegnavo all’università di Göttingen, in Germania, nei primi anni mi capitò di subire aggressioni verbali. Per strada parlavo in italiano ai miei bambini e, immancabilmente, qualcuno mi richiamava: signora, siamo in Germania, qui si parla tedesco. A quel tempo i miei figli avrebbero voluto essere come tutti i loro compagni, senza complicazioni legate alle origini. Ora sono ben felici di essere bilingui. Allo stesso modo fra vent’anni nessuno si stupirà più di famiglie che oggi ci appaiono così "diverse"».
Se il bioetico Adriano Pessina, intervenendo nei giorni scorsi nel dibattito aperto sul Corriere, aveva insistito a lungo sul termine «differenza» — «Non è indifferente che una coppia sia formata da un uomo e una donna oppure da due uomini o due donne, maschile e femminile sono necessari per la definizione stessa della condizione umana» — Rigotti ribalta la prospettiva. «La mia parola d’ordine è eguaglianza. È la parola/concetto che sta alla base della visione del mondo in cui parità e