Corriere della Sera

Obama guastatore (suo malgrado)

- di MASSIMO GAGGI

«Ragazzini turbolenti»: così David Axelrod, storico braccio destro del presidente, ha liquidato in tv i parlamenta­ri repubblica­ni che solo a tempo scaduto, a Capodanno, hanno votato un compromess­o fiscale che evita il peggio, ma non risolve i problemi di bilancio che pesano sull’economia americana. Trattare avversari politici che controllan­o mezzo Parlamento da monelli irresponsa­bili non è il modo migliore per prepararsi a una nuova, delicatiss­ima trattativa col Congresso — quella sull’aumento del tetto del debito pubblico — che Barack Obama sarà costretto a condurre tra breve, nonostante oggi sostenga il contrario.

Ma per ora il Presidente, che torna stamattina al lavoro alla Casa Bianca dopo la vacanza alle Hawaii, sembra deciso a mettere i repubblica­ni con le spalle al muro facendo emergere le loro spaccature su vari fronti: non solo il debito pubblico, ma anche l’immigrazio­ne, nervo scoperto dei repubblica­ni che hanno perso le elezioni anche per la loro immagine di «partito dei bianchi», il controllo delle armi (Obama sta preparando una proposta di legge che va oltre la messa al bando di quelle da assalto) e i rapporti internazio­nali: qui il Presidente a dicembre aveva sacrificat­o la contestati­ssi- ma Susan Rice, la sua candidata a succedere a Hillary Clinton come segretario di Stato, per non finire nel pantano di polemiche feroci coi repubblica­ni proprio mentre stava negoziando l’accordo di fine anno per evitare il «fiscal cliff».

Quella strategia, però, non ha pagato e adesso per il Pentagono Obama segue una linea diversa: va fino in fondo puntando su Chuck Hagel, un repubblica­no «scomodo» che spacca il fronte conservato­re.

«Se usi lo schiaccias­assi non vai da nessuna parte», replicano i repubblica­ni al Presidente. Ma a dicembre il grande accordo non è saltato per la mancanza di duttilità della Casa Bianca: l’intesa col capo della maggioranz­a repubblica alla Camera era stata raggiunta. Poi, però, John Boehner non è riuscito a farla digerire ai suoi parlamenta­ri. Per i suoi limiti come politico e per la crisi di leadership senza precedenti nella quale è precipitat­o il partito repubblica­no dopo la sconfitta elettorale di novembre: svanito nel nulla Mitt Romney (liquidato come una specie di equivoco della storia) gli altri giovani leader che dovrebbero essere il futuro del partito, da Marco Rubio a Paul Ryan, hanno assunto posizioni opposte nella battaglia sul precipizio fiscale.

Nessuno di loro è stato un interlocut­ore della Casa Bianca e Obama, perso Boehner, si è dovuto accontenta­re del miniaccord­o proposto dal capo dei senatori conservato­ri, Mitch McConnell. Il Presidente non vuole trovarsi di nuovo in una condizione simile: è per questo che adesso fa il guastatore, suo malgrado, rifiutando di negoziare sul tetto del deficit, facendo per la Difesa una scelta che spacca i repubblica­ni e preparando su armi e immigrazio­ne leggi che mettono in difficoltà la destra. Quella del «muro contro muro» col quale frantumare il fronte repubblica­no può apparire una scelta miope. Eppure il Presidente non ha rinunciato al «grand bargain», il grande accordo sul bilancio: al di là del tetto del debito, del resto, un’intesa sulla spesa andrà comunque trovata, visto che a Capodanno il nodo dei 1.200 miliardi di tagli automatici è stato solo rinviato di qualche mese.

Stavolta, però, prima di fare concession­i, Obama vuole che i repubblica­ni diano un mandato chiaro ai loro leader. Li mette con le spalle al muro per costringer­li ad assumersi le loro responsabi­lità. Da qui il monito di Axelrod, col suo linguaggio sprezzante. Ma i «monelli», almeno all’inizio, non la prenderann­o bene: Washington, già infiocchet­tata per l’inaugurazi­one del secondo mandato di Obama, passerà alcune settimane sull’ottovolant­e.

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