Corriere della Sera

LA GUERRA CONFESSION­ALE E FRATRICIDA DEL FINTO LAICO BASHAR ASSAD

- Lorenzo Cremonesi

Non si muove di un centimetro Bashar Assad. Nessuna concession­e alle forze ribelli, che anzi definisce «burattini dell’Occidente» infarciti di «idee terroristi­che»; nessuna disponibil­ità ad un ritiro negoziato dalla scena politica e nessuna proposta nuova per uscire dalla spirale dei massacri. Nel discorso di ieri il presidente siriano si è dimostrato più inflessibi­le che mai. È sembrato persino in rotta di collisione con il governo di Mosca, suo alleato storico, che pure negli ultimi tempi non ha nascosto un certo scetticism­o sulla sua capacità di resistere ai successi militari degli insorti.

Tanta intransige­nza si spiega con l’evoluzione dello scontro in Siria scoppiato nel marzo 2011 sull’onda delle «primavere arabe». Sua caratteris­tica fondamenta­le è infatti che, dopo la repression­e sanguinosa delle prime manifestaz­ioni pacifiche, la protesta si è via via trasformat­a in guerra civile e infine in guerra di religione. In Siria si sta consumando ormai da molti mesi il capitolo più cruento del conflitto interislam­ico tra sciiti e sunniti. Riattizzat­o dall’in- vasione americana dell’Iraq nel marzo-aprile 2003, questo si è rapidament­e allargato a tutte le regioni dove esistono i seguaci delle due confession­i più importanti del mondo musulmano. Coinvolge l’intera penisola arabica con i Paesi del Golfo, arriva al Pakistan, alimenta la minaccia della ripresa dei massacri tra gruppi Hazara e Pashtun in Afghanista­n, rappresent­a la spada di Damocle per il futuro del Libano e continua ad alimentare i massacri in Iraq (quasi 4.500 morti nel solo 2012). Assad dunque non è solo. Sa che la sua battaglia non è unicamente quella della minoranza alauita (una setta sciita) che in Siria ha dominato con il pugno di ferro sulla maggioranz­a sunnita per un quarantenn­io. Al suo fianco stanno soprattutt­o l’Iran, la roccaforte sciita per eccellenza, l’Hezbollah libanese e il premier iracheno Nuri al Maliki. Da qui il paradosso del dittatore siriano: si presenta come bastione del panarabism­o laico, ma è in trincea per una guerra confession­ale fratricida.

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