Kadaré, il Male è un paese solo per ciechi
Il romanzo Una metafora della dittatura e un’Albania da incubo, dove i sospetti perdono la vista
Si può raccontare il totalitarismo in due modi. Portandone alla luce il marciume ideologico; oppure sotto forma di paura.
Lo scrittore albanese Ismail Kadaré è forse il più raffinato interprete di questo secondo stato d’animo; esso appare in vari romanzi come una pianta velenosa destinata a crescere fino ad occupare la scena. Così avviene anche ne L’occhio del tiranno: lo pubblica la Fandango (pp. 79 10) ed è
e stato anche il primo libro di Kadaré ad uscire in Albania dopo la sua partenza per l’esilio nel 1990. Ma la stesura risale addirittura a 28 anni fa, quando Kadaré era ancora costretto a vivere all’ombra del dittatore Enver Hoxha.
Ne L’occhio del tiranno la paura descritta è reale, fisica, organica: vi si combinano autoritarismo ottomano e autocrazia comunista; è l’archetipo di una società albanese chiusa, pavidamente sottomessa e appunto per questo ferocemente aggrappata ai privilegi, alle concessioni, alla logica della sopravvivenza.
Qui il veleno ha il nome di «malocchio»: se ne parla dopo che un muezzin inciampa sulle scale di un minareto, e poi in seguito a un incidente che coinvolge la carrozza dove viaggia l’ambasciatore britannico. Quindi invade il Paese, inghiotte colpevoli e innocenti, onesti e opportunisti, finché il sultano decide di punire gli «untori», cioè i presunti portatori di malocchio, accecandoli secondo regole atroci sì, ma anche minu- ziose. E inoltre variamente interpretabili, dal momento che sono riassunte per decreto in un capzioso manuale burocratico.
Ed è proprio da qui che si genera l’orrore: il male ha mille sfumature e, per così dire, un volto ragionevole. Alla vittima può essere riservato, secondo le circostanze, l’accecamento tramite pinze arroventate, la lapidazione, l’esposizione prolungata al sole, la reclusione per mesi in un pozzo tenebroso. Esistono anche circostanze attenuanti: purché confesso, il povero jettatore potrà scegliere il modo in cui farsi accecare, e in aggiunta si vedrà assegnare una rendita di Stato che gli permetterà di sopravvivere. Ma il manuale del tiranno contiene possibili aggravanti: chi non denuncia i colpevoli, o non rivela di possedere lui stesso diabolici poteri, andrà incontro a sevizie e a un futuro miserevole.
Un intreccio di eccezioni e ambiguità, delazioni e vigliaccherie finirà per soffocare la vita di tutti, compreso l’amore fra i due giovani protagonisti del romanzo. Così agisce la menzogna di Stato: vince perché nessuno si ribella, nemmeno immagina che sia possibile resistere. Se il vocabolario non conosce le parole «amore», «onore», «verità», trionfa il tradimento, proprio come in «1984» di Orwell il protagonista Winston è indotto infine a tradire la sua Julia. L’accecamento richiama le carceri totalitarie, dove ai torturati si spengono gli occhi esponendoli per giorni, con le palpebre spalancate, alla luce solare o elettrica. Antichi cartaginesi, ottomani, nazisti, bolscevichi, islamisti e ogni altra tribù tirannica rivive nell’occhio onnipotente descritto da Kadaré, che non smette di spiarci.